Monete dal Tevere: una messa a punto
di Franco Guillermo Mazzanti A mia cugina Claudia che per me è sempre stata come una sorella maggiore Questo lavoro intende essere una raccolta e un riordino dei dati raccolti negli studi, sui ritrovamenti monetali del Tevere, pubblicati nei Bollettini di Numismatica dell’Istituto Poligrafico dello Stato. Con un’introduzione ad opera di C. M. Carpano, con il suo articolo: “Il Tevere: archeologia e commercio” (in cui tratterà delle prime opere idrauliche nel Tevere, ove sono più frequenti i ritrovamenti di monete). Seguirà poi un approfondimento sulla circolazione monetaria in età romana lungo il fiume Tevere, le cui tematiche furono affrontate durante una tavola rotonda fra il 21 aprile e il 29 giugno dell’86, con la partecipazione dei seguenti studiosi: Sabatino Moscati, Giovanni Gorini, Hans Markus von Kaenel, Maria Radnoti Alfoldi e Francesco Panvini Rosati. Si proseguirà poi a parlare di alcuni dei più importanti scavi archeologici svoltisi nel fiume, con gli articoli di Susanne Frey Kupper sulle monete greche, di Franz E. Koening sulle monete di Caligola, di Hans Markus von Kaenel sulle monete di Claudio, per poi finire con l’articolo sui ritrovamenti del Testaccio e dell’Alveo del Tevere ad opera di Roberto Meneghini e Lucia Travaini. L’articolo di Carpano, pubblicato nei n. 2-3 BdN dell’84, inizia trattando delle opere idrauliche compiute lungo il Tevere col fine di prevenire le improvvise inondazioni del Fiume e quindi di canalizzare le acque in eccesso verso il mare, come ad esempio le cloache che si aprivano lungo le rive del fiume. Importanti autori antichi come Plutarco e Dione Cassio testimoniano che il Tevere aveva da sempre costituito un’importantissima via economica che favoriva i commerci fra nord e sud, fra Lazio ed Etruria meridionale. Vitale per il commercio, poteva però essere un disastro per l’agricoltura a causa delle frequenti inondazioni, le prime opere di canalizzazione a cielo aperto iniziarono sotto il regno di Tarquinio Prisco, al V secolo risalirebbe la cloaca in cappellaccio ritrovata nel Foro ma i primi interventi documentati sono databili ad un periodo compreso fra il III e II sec. a.C. All’ultimo periodo repubblicano risalirebbero le cloache ritrovate presso il Circo Massimo e il Colosseo; vicino S. Maria in Cosmedin, che ora ospita la celeberrima Bocca della Verità, si trova l’attuale sbocco della Cloaca Maxima, costruita in blocchi radianti tra il 120-80 a.C. Passando ora a parlare dei porti l’autore ci informa, in base ai ritrovamenti archeologici, che il primo porto di Roma era localizzato nei pressi di S. Maria in Cosmedin ed era chiamato Portus Tiberinus. Oltre al Portus Tiberinus vi era anche il Navalia (porto militare di Roma di cui ancora non si conosce bene l’ubicazione) e il porto situato in località Tor di Nona. Alcuni ipotizzano che il Navalia si trovasse nell’area del Campo Marzio altri che si trovasse fra il Foro Boario e l’Aventino. Al II sec. a.C. risalgono le prime sistemazioni degli argini del fiume con ormeggi in opera quadrata in tufo, in coincidenza con l’aumentata importanza politica di Roma nel Mediterraneo con la fine della seconda guerra punica, e proseguirono fino alla seconda metà del I secolo a.C. con un periodo di maggior attività fra il 193 e il 174 a.C. Nei pressi della Basilica di San Paolo sono stati ritrovati, nel corso della storia, numerosi blocchi di travertino grezzo a testimonianza del fatto che lì doveva trovarsi un altro porto per lo scarico delle merci. Sempre in epoca imperiale venne costruito uno dei porti fluviali più importanti della città, il Porto del Testaccio, vicino agli empori e agli Horrea omonimi. Proprio vicino al porto prese forma, nel corso della storia il Mons Testaceum, che non è altro che un accumulo di anfore usate che, una volta esaurita la loro impermeabilità, venivano li gettate e sotterrate. Di epoca traianea, questo porto metteva in contatto le regioni più interne dell’Etruria e dell’Umbria con lo scalo commerciale di Ostia Antica in cui le merci, provenienti da tutto il Mediterraneo, venivano imbarcate sui battelli fluviali trainati a riva da animali. E proprio Ostia si trovava il più importante scalo commerciale di Roma, la Porta dell’Urbe sul Mediterraneo, fatto costruire da Claudio e ampliato da Traiano esso appariva anche sulle monete imperiali per esaltare la gloria degli imperatori. Il primo progetto, terminato poi da Nerone, prevedeva la costruzione di due moli aggettanti, con un’isola artificiale in mezzo, sulla quale si trovava un faro, questo nuovo porto venne rinominato Portus Augustis Ostiensis. A causa delle precarie condizioni del fondale del Tirreno, sul quale il porto Claudiano tendeva ad inabissarsi, Traiano fece costruire un altro porto esagonale, di ben 32 ettari, collegato sia al porto di Claudio che al Tevere, con darsene e magazzini in grado di costituire un rifugio sicuro per le imbarcazioni. Il porto prese il nome di Portus Traiani e fu utilizzato ininterrottamente per tutta la successiva età imperiale “Si calcola che ogni anno giungevano a Roma fino a circa 12.000 navi da tutto il Mediterraneo per un totale approssimativo di circa 800.000 tonnellate di merci, tenendo in conto eventuali problematiche relative al clima o all’assetto geopolitico del Mediterraneo”[1]. Presumibilmente il Tevere era navigabile in primavera e autunno mentre non lo era fra novembre e marzo, a causa del mal tempo, e nei mesi estivi, dato che in estate alcune zone erano quasi secche. Una volta che le navi raggiungevano Ostia le merci venivano scaricate e imbarcate sui battelli fluviali, gli stessi risalivano la corrente del fiume per mezzo di una tecnica chiamata alaggio, essa sfruttava la forza di alcuni buoi che, dalle due rive del fiume, trainavano le piccole imbarcazioni grazie a delle corde. Vi erano lungo il fiume stazioni di sosta per permettere ai buoi e alle persone di riposare, mediamente queste stazioni dovevano trovarsi a circa 11 km l’una dall’altra, identificarle è estremamente difficile dato che nel corso del tempo il Tevere ha più volte cambiato il suo percorso e i vari lavori edilizi, compiuti a partire dal XIX secolo, ne hanno cancellato quasi completamente ogni traccia. Infine è da menzionare l’esistenza a Roma di un ufficio i cui funzionari erano addetti alla manutenzione del fiume, ne permettevano un’agevole navigazione e limitavano gli effetti devastanti delle inondazioni. Questi funzionari erano detti curatores riparum et alvei Tiberis a cui poi si aggiunse il termine et cloacarum urbis. Tuttavia le fonti letterarie sono discordi sulla data di istituzione di questo ufficio, secondo Svetonio esso sarebbe stato istituito da Augusto nei primissimi anni dopo cristo, mentre Dione Cassio riporta la data del 15 d.C. attribuendo a Tiberio l’istituzione di questo ufficio. Terminata questa introduzione archeologica sul Tevere si procederà ad analizzare il problema della circolazione monetaria lungo il fiume tenendo conto dei dati raccolti durante la tavola rotonda dell’86 e pubblicati nel Bollettino di Numismatica n. 9 dell’87. Per ragioni di spazio non sarà possibile dilungarsi troppo negli approfondimenti, pertanto si cercherà di essere sintetici. “Nella sua introduzione Gorini suddivide i ritrovamenti monetali in due categorie: i ritrovamenti singoli e i ritrovamenti multipli”[2].
“Passando ora ai metodi di indagine, l’autore descrive le modalità con cui le monete possono essere studiate in senso stratigrafico, topografico, statistico e storico-economico”[3]. Si prosegue analizzando il problema riguardo alla monetazione delle città e dei popoli preromani dell’Italia antica, al loro passaggio nell’orbita romana e, infine, il problema dell’introduzione del denario. “In questo caso gli scavi di Morgantina, e i ripostigli siciliani connessi con la seconda guerra punica, sembrano propendere per la data del 212 a.C., ma si attendono nuovi sviluppi per chiarire il problema”[4]. L’intervento di H. M. von Kaenel tratta delle monete ritrovate nel Tevere negli anni fra il 1877 e il 1890, durante i lavori di sistemazione degli argini del fiume e ora conservate presso il Museo Archeologico di Palazzo Massimo. Alcune di esse potrebbero essere parte di offerte votive ma per lo più sono monete perse accidentalmente, quasi tutte in bronzo dato che, come detto in precedenza, le monete in metallo nobile venivano custodite con cura. A livello statistico le monete maggiormente rappresentate appartengono al primo periodo imperiale: 800 monete di Ottaviano Augusto, 1.200 monete di Tiberio, 500 di Caligola e 900 monete di Claudio. Da Nerone in poi il numero delle monete coniate non raggiungerà più i valori delle monete dei primi imperatori. Segue poi l’intervento di M. R. Alfondi che approfondisce la tematica dei ritrovamenti monetali e chiarisce l’importanza dello studio delle monete entro il loro contesto archeologico. Di seguito l’intervento di F. P. Rosati in merito al ritrovamento di tesoretti monetali, la studiosa ribadisce l’importanza che i tesoretti siano conservati integri per uno studio completo sul contesto archeologico del sito, tuttavia come detto dalla Rosati, un ripostiglio di monete, anche se incompleto e isolato dal contesto archeologico, può comunque fornire dati generici sulla circolazione monetaria nella regione. L’intervento di S. Moscati, con le sue conclusioni sull’intervento di Rosati, conclude la Tavola Rotonda svoltasi nel complesso di San Michele a Ripa nel 1986. Il più consistente ritrovamento è stato quello delle circa undicimila monete, rinvenute durante i lavori di sistemazione dell’alveo del fiume e la costruzione degli argini, negli anni fra il 1877 e il 1890 ora conservate presso il Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo. L’inventario delle monete ebbe inizio ad opera della Secondina Lorenza Cesano nel 1903 e si concluse nel 1923, con la catalogazione di 11.183 monete. Nel 1984 fu data una prima notizia, delle monete ritrovate nel Tevere, ad opera di H. M. von Kaenel sulle monete di Claudio I nel BdN n. 2-3; una seconda notizia ci fu nel 1988 ad opera di F. E. Koenig, sulle monete di Caligola nel BdN n. 10 e, in fine, una terza notizia fu data nel 1995 ad opera di S. Frey Cupper, sulle monete greche nel BdN n. 25. Seguiremo l’ordine cronologico delle monete, iniziando con le greche per poi continuare con Caligola e infine Claudio. “Le monete greche sono 122 corrispondenti all’1,1% del totale delle monete tiberine, queste formano uno degli sporadici ritrovamenti di monete greche a Roma, a titolo di esempio si può citare il tesoretto di 108 monete greche che Richard Marsden Reece cita nel suo articolo “A Collection of Coins rom the Center of Rome, dell’82”[5]. “Le monete provenienti dall’Italia e dalla Sicilia rappresentano la maggioranza sul totale degli esemplari, la sola Sicilia conta 53 pezzi, 7 dalla Sardegna, mentre la Grecia è rappresentata solamente da 9 pezzi, altre monete provengono invece dalla Hispania, Illyria, Pontus, Paphlagonia, Ionia, Caria, Cyrenaica e Zeugitania”[6]. Nel suo articolo la Kupper si è concentrata sulle monete di Paestum, Syracuse, Cos, Panormus e di Cartagine, in quanto in esse si riscontra una scelta limitata riguardo ai tipi e ai nominali (48 pezzi) costituiscono da sole il 40 % di tutto il materiale, inoltre la Kupper precisa, con due motivazioni: “La prima è che è stato ipotizzato che le monete provenienti dalla Grecia fossero parte di offerte votive o bottini di guerra in quanto sarebbe stato decisamente insolito il ritrovamento di singole monete in territori tanto lontani dalla loro madrepatria. La seconda è il fatto a dir poco curioso della totale mancanza di monete bronzee di Neapolis del III sec. a.C. o di altre campane o sannitiche, inoltre sono assenti le monete provenienti dalle colonie romane del Sud Italia”[7]. A seguire tratteremo delle cinque zecche studiate dalla S. FreyKupper nel suo articolo sui ritrovamenti greci nel Tevere, esse sono Paestum, Panormus, Syracusae, Cartago e Cos: Paestum Le monete provenienti da Paestum sono sette, nel catalogo della Cesano corrispondono alle monete nn. 2-8 e si suddividono in tre tipi monetali: i primi due sono, un triente e un semisse, risalenti al periodo in cui nella città campana governava un collegio di quattro magistrati detti quattuorviri, mentre il terzo tipo è rappresentato dalle cinque monete recanti i nomi dei duoviri e sono tutti semissi. Sul rovescio dei cinque semissi compaiono due leggende; “Q[.]OR” e “NAV” da identificarsi come i nomi dei duoviriri e da interpretarsi come “Quintus Porcios”, “Numerius Aurelius” oppure “Numerius Aufidius”. Tutti e tre i tipi appartengono al I secolo a.C.; le monete, che al dritto recano un busto galeato e al rovescio le mani incrociate con legenda, servivano solo per uso locale e il loro valore era molto basso, esse equivalevano a un quadrante romano. Oltre alle monete n. 2-8 ve ne sono altre due di identificazione incerta: La n. 9 con al diritto Hermes e legenda “Q[.]OR” e mani incrociate sul rovescio sarebbe da attribuire a Paestum se non fosse che non si conoscono altre monete con l’identica combinazione di conii, il SNG di Copenaghen lo attribuisce alla zecca di Panormus. Sulla moneta n. 10 compare lo stesso identico conio di diritto con il busto di Hermes della moneta n. 9, al rovescio, un guerriero alla cui sinistra compare la leggenda “NAV” anch’essa attribuita, dal SNG di Copenaghen a Panormus. Dato che per queste due monete è stato usato lo stesso conio di diritto attribuibile a Paestum, l’identificazione di queste due monete come monete di Panormus risulterebbe sbagliata. Panormus Dopo le monete di Paestum la Kupper passa ad analizzare le monete provenienti da Panormus; esse sono omogenee fra di loro per quanto riguarda tipologia, peso e dimensioni, e sono numerate nel catalogo della Cesano dal n. 28 al n. 32. Recano sul diritto la testa di Zeus e sul rovescio la figura di un guerriero e sono databili ad un periodo compreso fra la fine del II sec. a.C. e gli inizi del I sec. a.C. La loro circolazione era esclusivamente locale, pertanto è probabile che le monete appartenessero ad un unico complesso, borsa, gruzzolo o altro. Oltre a queste monete è presente una variante catalogata come moneta n. 33, essa presenta la testa di Zeus a diritto e un tempio tetrastilo. Secondo la Kupper vi sarebbero anche delle imitazioni nel gruppo nn. 28-32, sono tre monete catalogate dal n. 16 al n. 18, forse sono state prodotte nel centro Italia, dato che in Sicilia non sono stati ritrovati esemplari simili a parte un’unica moneta ritrovata a Morgantina. Syracusae Le monete di Siracusa appartengono a due gruppi monetali, il primo che comprende le monete nn. 34-43, il secondo le monete nn. 44-65. Il primo gruppo, con diverse tipologie di dritto e rovescio a seconda dei sovrani, copre un arco cronologico che va da Dioniso I (405 – 367 a.C.) a Agatocle (317 – 289 a.C.), con una forte presenza di monete di quest’ultimo. Assenti, invece, le monete di Ierone II (270 – 215 a.C.) e poche sono le monete databili dal tempo di Iceta (288 – 279 a.C.) alla fine della seconda guerra punica. Il secondo gruppo, più numeroso, comprende le monete nn. 4465, risalenti al periodo di dominazione romana. In esso spiccano 15 monete (nn. 51-65), con testa di Core al dritto e Demetra al rovescio, le stesse compongono il 12% del materiale studiato dalla Kupper. Le città siciliane sotto il dominio romano furono caratterizzate da un’intensa produzione monetale sia quantitativa che qualitativa. L’omogeneità tipologica delle monete siracusane ci fa supporre che dovevano appartenere allo stesso complesso, come quelle di Paestum, come ad esempio un tesoretto. Cartago La maggior parte delle diciannove monete puniche provengono da Cartagine e costituiscono il 15.5% del campione. Includendo la n. 1, vanno dalla n. 69 alla n. 78 e dalla n. 114 alla n. 121, per un totale di 19 monete. La maggior parte delle monete appartiene al periodo precedente alla prima guerra punica (264-241 a.C.), e recano sul diritto la testa di Tanit e sul rovescio il cavallo davanti ad una palma, tipico della monetazione punica. Gran parte di queste monete non erano più in circolazione dopo la seconda metà del III secolo a.C. La varietà tipologica delle monete enee provenienti da Sicilia, Sardegna e Spagna meridionale, tutti luoghi sotto il dominio cartaginese, e ritrovate nel Tevere lascia pensare che esse fossero venute fuori in contesti singoli, solo le sette monete nn. 72-78, in virtù della loro omogeneità, lascia pensare che facessero parte di un insieme. Cos L’ultima zecca trattata dalla Kupper è quella di Cosa, le tredici monete di questa zecca, nn. 100-112, sono tutte databili fra il 167 a.C. e l’88 a.C. e recano sul diritto la testa di Eracle, posto di tre quarti, e al rovescio la Clava con Goritos. Sembrerebbe che le monete di Cosa abbiano a che fare con il santuario di Esculapio sull’isola Tiberina, l’omogeneità tipologica delle monete però esclude quest’ipotesi, poiché un’offerta votiva si accumula nell’arco di molti anni ed è caratterizzata da una forte eterogeneità di monete provenienti da zecche più o meno lontane e di diversi periodi storici. Pertanto le caratteristiche del campione lasciano supporre che le monete fossero parte di un tesoretto selezionato con attenzione dal suo proprietario. I prossimi due articoli riguarderanno le monete degli imperatori Caligola e Claudio rispettivamente di F. E. Koenig e H. M. von Kaenel. Nel 1988 uscì l’articolo di F. E. Koenig sulla circolazione monetaria all’epoca dell’imperatore Caligola pubblicato nel volume n° 10 del Bollettino di Numismatica dell’istituto poligrafico dello stato. “Il complesso monetale di Caligola risulta essere il secondo per dimensioni sinora rinvenuto come mostra la lista delle località di ritrovamento. Non sono state identificate monete in metallo nobile di questo imperatore ma solo monete in rame e oricalco. Il nominale più frequente è l’asse mentre quello meno frequente è il dupondio, scarsi sono invece i sesterzi. Riguardo alle tipologie del dritto e del rovescio, per i sesterzi il tipo più frequente è quello con il ritratto di Agrippina seguito dal tipo con le tre sorelle sul rovescio che chiudono la serie. Nei dupondi il tipo con il Divo Augusto supera quantitativamente i tipi di Nerone e Druso Cesari e quelli di Germanico, quest’ultimo presente in numero ancora più ridotto. Per gli assi il tipo con Agrippina è maggioritario rispetto ai tipi con Caligola che supera solo di poco quello di Germanico. A causa dell’usura delle monete, non è stato possibile stabilire in quale nominale sia stato intenzionalmente cancellato il nome di Caligola a causa della Damnatio Memoriae subita dall’imperatore”[8]. La prova della cancellazione di un ritratto o della legenda mediante l’uso del martello è evidente nell’appiattimento della superfice sull’altro lato della moneta. Sul totale delle monete provenienti dal Tevere 244 presentano tracce di martellamento, la maggior parte sono sesterzi di Caligola mentre gli altri sono quasi tutti assi con l’effige di Germanico. “Per quanto riguarda le contromarche, le monete che le portano impresse sono molto poche, l’autore ne ha identificate due differenti”9. Le contromarche si possono suddividere in due gruppi:
Dopo aver trattato delle monete di Caligola, studiate da Koenig, ci concentreremo sulle monete di Claudio, studiate da Kaenel, il cui articolo fu pubblicato nel volume precedentemente trattato, il Bollettino di Numismatica n. 2-3 dell’84. Come già detto in precedenza le fonti numismatiche ci dicono molto sulla circolazione monetaria nelle province settentrionali o occidentali nei secoli III e IV d.C. ma sono scarse per quel che concerne la circolazione monetaria in Italia. “Data la scarsità di ritrovamenti monetari a Roma, a comparazione con altri luoghi, oltre alle monete tiberine si possono citare, fra i più importanti ritrovamenti monetali a Roma, due collezioni numismatiche di grande importanza. La prima collezione è composta dalle 46.000 monete, in bronzo e rame, conservate nel magazzino delle collezioni comunali del Campidoglio e ritrovate fra il 1872 e il 1900, purtroppo per queste monete manca a tutt’oggi un catalogo che permetta una rapida identificazione. La seconda collezione è composta da 5000 monete ora custodite nell’antiquarium del Palatino e ritrovate nell’area del Palatino e del Foro Romano, queste ultime son state di recente studiate da R. Reece”[9]. Ritornando alle monete del Tevere possiamo affermare che sono importanti per due motivi: Il primo riguarda i 650 conii attraverso i quali si può risalire ai magistrati monetari di epoca augustea, questi conii costituiscono il ritrovamento più importante dopo quello di Vindonissa in Svizzera, e ci aiutano a identificare i vari collegi monetari che si sono succeduti nel corso del tempo. Il secondo riguarda le monete bronzee di Claudio, esse rappresentano, dopo quello del fiume Maienna (Saint Léonard-Francia meridionale), il più grande complesso monetale di questo imperatore. Le monete imperiali ritrovate nel Tevere costituiscono la più alta concentrazione di monete di questo periodo, concentrazione superiore anche ai ritrovamenti del Campidoglio e del Foro Romano. Si procederà ad un’analisi tecnica delle monete e delle contromarche che compaiono con maggior frequenza sulle monete di Claudio. Fra le monete enee, considerate dall’autore, non sono presenti monete con l’effige di Germanico. Fra le monete in oricalco mancano gli esemplari con le effigi di Britannico, Agrippina minore e Nerone. I suddetti tipi, rari a Roma, venivano coniati da zecche della provincia di Tracia. Le unità in oricalco, sesterzi e dupondi, ammontano complessivamente a un quinto del campione mentre gli assi e i quadranti, in rame, compongono i restanti quattro quinti. Il nominale più frequente, in base agli studi dell’autore, è l’asse mentre il meno frequente è il dupondio. Tre sono i quadranti (343-344-345) che, in base alla loro titolatura, sono databili al periodo compreso fra l’assunzione del secondo consolato di Claudio e l’assunzione del titolo di Pater Patriae dell’imperatore (41-42 d.C.). Gli esemplari di Claudio si possono suddividere in due grandi emissioni, la prima senza la titolatura Pater Patriae e la seconda con questa titolatura. Le due emissioni, come dimostrato dall’autore, non si equivalgono, infatti i sesterzi della seconda emissione sono numericamente inferiori alla prima e questo divario rimane anche quando, alla seconda, si aggiungono i sesterzi di imitazione. Al contrario per gli assi è la seconda emissione con la titolatura Pater Patriae a essere superiore alla prima di quasi il doppio, infine per i dupondi non sono state evidenziate grandi discrepanze numeriche. Dopo due brevi paragrafi su il peso e sulla posizione dei conii di dritto e rovescio, l’autore del presente articolo, H. M. von Kaenel, introduce l’argomento sulle contromarche presenti su alcune di queste monete. Una delle due contromarche che appare più di frequente è la sigla NCAPR, impressa là dove la contromarca non copre l’immagine. “La contromarca NCAPR e stata studiata in maniera esaudiente da Mac Dowall. Sui sesterzi veniva applicata in genere sul rovescio mentre sui dupondi sul diritto, orientata in maniera diversa a seconda dell’orientamento dell’effige raffigurata; secondo lo studioso Dowall la stessa contromarca era presente sulle monete in oricalco di Tiberio mentre era assente su quelle di Caligola, probabilmente a causa della dannatio memoriae subita da questo imperatore. La suddetta contromarca compare sia sulle monete senza titolatura Pater Patriae sia su quelle con la titolatura, in percentuali uguali, il che ci aiuta nella datazione dell’intero campione. Lo studioso avrebbe poi ipotizzato che la zecca producente le monete con questa contromarca dovesse trovarsi nell’Italia settentrionale, tuttavia quest’ipotesi sarebbe priva di fondamento e si preferirebbe optare per la stessa Roma”[10]. La datazione della contromarca NCAPR è di epoca neroniana e il significato della prima parte “NCA” sarebbe riconducibile a Nero Caesar Augusti. Più difficile è l’interpretazione di “PR”, potrebbe significare Populus Romanus oppure, per analogia con la contromarca PROB, PRobatum. “Il Kraay farebbe risalire l’inizio dell’apposizione di questa contromarca al Congiarium di Nerone, nell’anno 57 a.C. Mac Dowall, dal canto suo, farebbe risalire l’inizio dell’apposizione di questa contromarca alla riforma monetaria di Nerone in cui, fra le altre cose, la monetazione in rame passò ad essere interamente in oricalco e fu necessario apporre questa contromarca per distinguere le nuove monete dalle vecchie. Diversamente dalla prima contromarca, sulla seconda PROB, le cui monete sono state studiate dal Kraay, non sono stati pubblicati molti studi e il suo significato rimane ancora incerto. Ad ogni modo la contromarca PROB, secondo il Kraay, grazie ai ritrovamenti sembrerebbe maggiormente attestata in Inghilterra, mentre non vi sarebbero tracce di monete con questa contromarca né a Neuss né a Vindonissa”[11]. Passando all’articolo successivo si tratterà del materiale numismatico rinvenuto lungo le sponde del Tevere nell’ultimo secolo. Le monete, rinvenute in diversi siti (A, B, C, D, E), furono studiate da Lucia Travaini e Roberto Meneghini che successivamente pubblicarono i risultati della loro ricerca nel BdN n° 5 dell’85. La ricerca fu basata quasi esclusivamente su materiale d’archivio più o meno dettagliato per i siti A, D, E, mentre per il tesoretto del sito C, rinvenuto presso via Bodoni, fu possibile incrociare i dati del materiale d’archivio con una più accurata documentazione numismatica, tuttavia fu impossibile ricostruire la corrispondenza precisa fra evidenza archeologica e materiale numismatico. In via Salaria, nel 1888, corrispondente al sito A, furono rinvenuti 13 trienti: 2 di Roma, 3 di Sutri e gli altri 8 da località laziali non identificate. Diverso ed esemplare fu il caso del sito B, per il quale ogni reperto proveniente da un contesto ben definito è collegato con gli altri. Nel sito B, durante gli scavi di Lungotevere Testaccio, negli anni fra il 1979 e il 1983 furono rinvenuti 180 reperti numismatici che furono consegnati al Gabinetto Numismatico del Museo Nazionale Romano e catalogati con i numeri da 363.665 a 363.844. Il materiare è costituito da 175 monete, 3 tessere plumbee e 2 oggetti non monetali. Delle 175 monete, di cui 10 non identificate, circa la meta sono monete di bronzo dei secoli IV e V d.C. Fra le monete tardo imperiali 63 sono databili fra il 337 e il 408 d.C., di cui 5 non identificate, 32 sono databili fra il 253 e il 299 d.C., e costituiscono rispettivamente il 39% e il 18% delle 175 monete del sito B. Fra il materiale numismatico vi è anche un medaglione in bronzo di Marco Aurelio, un sesterzio in bronzo martellato di Filippo I l’arabo e un tondello non coniato del V – VI sec. d.C. Gli ambienti nei quali si è scavato sono quelli del criptoportico (P, Q, U), retrostanti alla pavimentazione in lastre di travertino (K, R, S), la stessa pavimentazione di uno dei quattordici vani riempitivi di essa (ambiente XI). Per quanto riguarda il sito C, il tesoretto in esso rinvenuto fu portato alla luce il 20 ottobre 1911, durante i lavori per la costruzione delle case popolari in via Bodoni. La notizia della scoperta fu pubblicata in Notizie dagli Scavi e sul Bollettino Comunale di Roma nello stesso anno, mentre la presentazione del materiale numismatico fu pubblicato da Lorenzina Cesano nel 1919 in Atti e Memorie dell’Istituto Italiano di Numismatica n° 3. Le monete identificate sono 804, di cui 611 in bronzo e 193 in mistura, databili in un periodo compreso fra l’età di Augusto (I sec. d.C.), e l’età di Gallieno (metà del III sec. d.C.). Oltre alle monete sopra elencate furono ritrovati 84 pezzi in pessimo stato di conservazione che non furono né identificati né inventariati dalla Cesano ma che in futuro, grazie al progredire della scienza, potranno esser studiate e identificate con certezza. Nel sito D, nel 1907, durante i lavori di costruzione del Ponte Ferroviario che collegherà le stazioni di Roma Trastevere e Roma Termini, sotto il pilone destro, furono rinvenute 21 monete di bronzo di cui: 1 anonima; 2 di Nerone; 1 di Vespasiano; 1 di Tito; 3 di Domiziano; 1 di Adriano; 2 di Marco Aurelio; 1 di Massenzio; 1 di Costantino I e 8 illeggibili. Presso il Ponte dell’Industria, corrispondente al sito E, ultimo della lista, furono rinvenute, durante i primi lavori di sbancamento degli argini fluviali nel 1878/1879, centinaia di monete in bronzo e argento, di epoche e luoghi talmente diversi fra di loro che il Comune di Roma dovette impegnare i suoi dipendenti per tre mesi nell’attività di setacciatura e catalogazione delle monete che furono annotate nei Registri Territoriali, sezione Antichità Comunali. Bibliografia CARPANO 1984 = CARPANO MOCCHEGIANI CLAUDIO, Bollettino di Numismatica n. 2 – 3, IPZ, Roma 1984. GORINI 1985 = GIOVANNI GORINI, Bollettino di Numismatica n. 5, IPZ, Roma 1985. GORINI 1987 = GORINI GIOVANNI, Bollettino di Numismatica n. 9, IPZ, Roma 1987. KAENEL 1984 = VON KAENEL HANS MARKUS - Bollettino di numismatica n. 2-3, IPZ, Roma 1984. KOENIG 1988 = KOENING FRANZ E., Bollettino di Numismatica n. 10, IPZ, Roma 1988 KUPPER 1995 = FREY-KUPPER SUZANNE, Bollettino di Numismatica n. 25, IPZ, Roma 1995. [1] CARPANO 1984, pag. 47. [2] GORINI 1987, pag. 12. [3] - GORINI 1987, pag. 14. [4] GORINI 1987, pagg. 14–15. 5- Pubblicato in Papers of the British School at Rome, volume 50. 6- KUPPER 1995, pagg. 33–34. 7 - KUPPER 1995, pagg. 35–38. 8 - KOENIG 1988, pagg. 23–27. 9 9 KOENIG 1988, pagg. 28–30. 10- KAENEL 1984, pag. 91. 10- KAENEL 1984, pag. 99 – 101. 11 - KAENEL 1984, pag. 101-103.
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