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44 a.C. IDI DI MARZO. Come si costruisce una congiura. (sesta e ultima parte)

4/16/2018

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​Idi di Marzo. E' l'alba di una mattina fresca di quasi primavera e una coppia si sveglia in una domus. Entrambi hanno fatto sonni agitati. La donna ha sognato il marito ucciso tra le sue braccia, l'uomo di elevarsi al cielo e stringere le mani a Giove. Lei è Calpurnia, lui  è Cesare e sarà l'ultimo risveglio insieme. Di ragioni per non uscire di casa ce n’erano molte. Prodigi a go go e predizioni tutt’altro che rassicuranti, come quella dell’aruspice Spurinna che aveva invitato Cesare a guardarsi da un periodo negativo che si sarebbe concluso proprio alle Idi di Marzo. Ma tutti noi abbiamo un appuntamento col destino che inesorabile ci sovrasta e ci schernisce. Svetonio ci racconta che la sera prima, al ritorno dalla cena in casa di Emilio Lepido, Cesare era stanco e spossato e così il giorno dopo. Aveva avuto un leggero attacco epilettico notturno? Non lo sapremo mai. Fatto sta che Cesare quella mattina è intenzionato a non uscire di casa se non per piccole incombenze  e manda a chiamare Antonio per avvisare il Senato che la seduta è rimandata. Tra queste incombenze l’abituale sacrificio a Giove a casa di Gneo Domizio Calvino. È qui che avvenne il famoso scambio di battute con Cesare che fa lo spaccone vedendo Spurinna:” Le Idi sono arrivate e non mi è successo nulla” e quello di rimando :” si ma non sono ancora passate”. Ma la congiura deve avere la sua vittima. Ad una certa ora si presenta nella domus di Cesare Decimo. Per il buon esito del tutto è necessario che ogni cosa avvenga secondo i piani e Decimo è là per assicurarsi che Cesare vada alla Curia. Dopo un breve scambio di battute sulle responsabilità di Cesare nei confronti dei Senatori e una presa in giro sui sogni di Capurnia, il dittatore si convince: la seduta sarà rimandata ma sarà egli stesso a dirlo agli Ottimati. Decimo lo PRENDE PER MANO  e insieme escono di casa. Sono più o meno le 11.00. Quel giorno Roma non è traboccante di persone come al solito. Molti cittadini sono al I miglio della via Flaminia a festeggiare la festa di Anna Perenna, una bella scampagnata tra risate e relax. Quella mattina, sul presto anche i congiurati, tra i quali Bruto e Cassio, escono di casa, ma con altra consapevolezza. Quel giorno poi per Cassio è particolarmente importante, il figlio avrebbe indossato la toga virile e sarebbe entrato nel mondo degli adulti. Cesare percorse il tragitto che lo separava dalla Curia di Pompeo in lettiga fermato a più riprese da questuanti e gente del popolo. Tra queste persone le fonti ne ricordano una in particolare, un certo Artemidoro di Cnido che, facendosi largo tra la folla, consegnò a Cesare un biglietto con il consiglio di leggerlo urgentemente. Artemidoro era un insegnante di filosofia della cerchia di Bruto e quel giorno tentò in extremis di avvertire Cesare della congiura. Ma nulla, Cesare non riuscì a leggere il biglietto, ogni volta  venne distolto da qualcosa. Si dice che entrò in Senato stringendolo ancora in mano. Quel giorno chi fosse andato alla Curia di Pompeo avrebbe visto una gran  numero di gladiatori gironzolare tra i portici. Ve li ricordate i gladiatori di Decimo? Sono proprio loro, con la scusa di recuperarne uno fuggito, sono là a presidiare la zona. Prima dell’arrivo di Cesare tutto nella Curia procede come un giorno qualunque. Bruto e Cassio assolvono alle loro funzioni di pretori. Ma la tranquillità è solo apparente. Sotto la toga una ventina di senatori nascondono un pugium, un pugnale, e l’aria è palpabilmente tesa. Un Senatore, Popilio Lenate, avvicina Bruto e Cassio esortandoli a fare presto. La notizia dunque è trapelata.. come se non bastasse a Bruto arriva la notizia che a casa la moglie Porcia è morta. In realtà ha solo avuto un mancamento. La donna, nervosa e ansiogena, è dalla mattina che manda servi al Senato per avere notizie. Quella stessa donna che per dimostrare al marito quanto fosse affidabile, pochi giorni prima si era affondata un coltello nella coscia, dando prova di virile coraggio. Secondo me Bruto dalla notte precedente passata insonne, non era in ansia solo per la congiura ma per la moglie psicopatica! Vabbè, un exemplum virtutis muliebre e la chiudiamo qui. Alla notizia della morte -presunta- della moglie, Bruto non abbandona il suo posto, ormai si è spinto troppo in là. Cesare  arriva in Senato, prende di nuovo gli auspici e ancora una volta sono sfavorevoli. E’ mezzogiorno quando varca la porta della Curia e subito gli si fa dappresso Popilio Lenate. I congiurati temono sia tutto perduto, ma Popilio si allontana tranquillo. Tutto a posto. Cesare ignora. Quel giorno nella Curia erano presenti circa 200 senatori, ma ne mancano due che conosciamo bene: Cicerone, che prudentemente o inconsapevolmente quel giorno non si presentò in aula e Antonio, tenuto fuori da Trebonio con qualche scusa. Prima ancora di sedersi sullo scranno Cesare è attorniato da un gruppo di senatori.
“Mentre si sedeva, i congiurati lo circondarono come per rendergli onore e subito Cimbro Tillio, assuntosi l’incarico dell’iniziativa, gli si fece più vicino, come per chiedergli un favore: Cesare però non volle ascoltarlo e rimandò la cosa ad altro momento. Allora Tillio gli afferrò la toga da entrambe le spalle e mentre Cesare gridava: “Ma questa è davvero violenza!”, uno dei due Casca lo ferì da dietro, poco sotto la gola. Cesare, preso il braccio di Casca, lo trafisse con lo stilo e, mentre tentava di buttarsi in avanti, fu fermato da un’altra ferita. Accortosi che era assalito da tutte le parti con i pugnali sguainati, avvolse la toga attorno al capo e con la sinistra tirò l’orlo fino ai piedi, per morire più decorosamente, coperta anche la parte inferiore del corpo. Così fu trafitto da ventitré pugnalate, con un solo gemito, sussurrato dopo il primo colpo; ma secondo alcuni avrebbe gridato a Marco Bruto, che gli si scagliava contro: “Anche tu, figlio?”. Esanime, rimase lì per un po’, mentre tutti fuggivano, poi, caricato su una lettiga, con un braccio penzoloni, fu portato a casa da tre servi. Nessuna di tante ferite, come sosteneva il medico Antistio, fu letale tranne quella ricevuta per seconda al petto” Svetonio, Vita di Cesare, 82
“Per primo Casca lo colpì al collo con un colpo di pugnale né mortale né profondo; era turbato, com’è naturale all’inizio di un’impresa tanto che Cesare si voltò, afferrò il pugnale e lo tenne fermo. I due gridarono insieme: il ferito in latino: “Maledettissimo Casca, che fai?”, il feritore, in greco, al fratello: “Fratello, aiutami!”. Tale fu l’inizio del delitto e chi era all’oscuro di tutto fu colto da stupore e terrore per ciò che stava accadendo, senza osar né fuggire, né difendere Cesare, e neppure gridare. Ma poiché tutti coloro che avevano deciso di ucciderlo mostravano la spada sguainata, Cesare, circondato da ogni parte e incontrando, ovunque volgesse lo sguardo, pugnalate e armi puntate contro il viso e gli occhi, inseguito come una bestia, s’impigliava nelle mani di tutti: bisognava infatti che tutti quanti partecipassero al sacrificio e gustassero il sangue. Perciò anche Bruto gli vibrò un colpo all’inguine. Alcuni sostengono che, mentre Cesare dagli altri si difese trascinando il suo corpo qua e là ed urlando, quando vide che Bruto aveva impugnato il pugnale, si tirò la veste sul viso e si accasciò, o per caso o spinto dagli assassini, presso la base della statua di Pompeo. E il sangue la inondò, tanto che sembrò che Pompeo stesso guidasse la vendetta contro il nemico, disteso ai piedi e in preda agli spasimi per il gran numero delle ferite ricevute” Plutarco, Vita di Cesare, 66
“Mentre dunque Trebonio parlava con Antonio, gli altri tutti insieme circondarono Cesare, che era facilmente avvicinabile e affabile come chiunque e alcuni conversavano con lui, mentre altri agivano come se dovessero presentargli delle richieste, così che la sua mente non potesse affatto nutrire sospetti. Quando giunse il momento atteso, uno di loro gli si avvicinò come per ringraziarlo di qualche favore o altro e scostò la toga dalla spalla, dando così il segnale convenuto dai cospiratori. Allora lo attaccarono da molte parti al contempo e lo ferirono a morte, cosicché in ragione del loro numero Cesare non potesse dire o fare nulla se non coprirsi il viso. Fu ucciso dalle molte ferite. Questo è il racconto più fedele all’evento, benché alcuni abbiano aggiunto che a Bruto, che lo colpiva con forza, egli disse: “Anche tu, figlio mio” Cassio Dione, Storia Romana, 44, 19, 3-5
“I congiurati lasciarono Trebonio a intrattenere Antonio sulla porta: gli altri, quando Cesare si fu seduto per primo, gli si fecero intorno come degli amici, ma coi pugnali sotto il mantello. Allora Tillio Cimbro, uno di loro, piantatosi davanti, implorava il ritorno del fratello. Cesare rimandava la grazia, anzi la negava del tutto. Allora Cimbro, fingendo di supplicarlo, gli afferrò la porpora; ma nel farlo la avvolse e tirò per denudargli il collo, gridando allora: “Perché tardate ancora, amici!”. Quindi Casca, sovrastandogli il capo, lo pugnalò alla gola; ma mancò il colpo, ferendo il petto. Cesare liberò la sua veste da Cimbro, afferrò la mano a Casca e, balzato giù dallo scranno, si girò verso questi tirandolo con gran forza: ma nel girarsi protese il fianco, dove un altro lo trafisse. Intanto con gli stili in pugno Cassio lo colpì alla faccia, Bruto a un femore, Bucoliano alla schiena. Cesare si voltava verso ciascuno fremendo e stridendo come un animale, ma dopo il colpo di Bruto, ormai perse le speranze nella vita, si avvolse il capo nel mantello e cadde in nobile modo ai piedi della statua di Pompeo. Gli assalitori si accanirono su di lui, quando cadde, assestando fino a ventitré colpi, tanto che molti, per l’ansia di ferirlo, ferirono a vicenda se stessi e gli altri” Appiano, Guerre Civili, II, 117
“Al suo ingresso, il senato si alzò in onore alla sua posizione. I congiurati gli stavano accanto. Il più vicino era Tillio Cimbro, il cui fratello era stato esiliato da Cesare. Col pretesto di un’umile rechiesta a favore del fratello, Cimbro lo avvicinò e gli afferrò il mantello della toga, mostrando di agire con troppo ardore per uno che supplica e volendo impedirgli di alzarsi e usare le mani se lo voleva. Cesare si irritò molto, ma gli uomini rimasero fermi nel proposito e tutti subito sguainarono i pugnali e lo assalirono. Per primo Servilio Casca lo colpì con la punta della lama alla spalla sinistra un po’ sopra la clavicola. Nella tensione, però, mancò il punto da colpire. Cesare allora si alzò per proteggersi e nel trambusto Casca gridò in greco al fratello, che lo sentì e conficcò la spada nel costato. Intanto, Cassio lo ferì al viso e Decimo Bruto lo trafisse al fianco. Mentre Cassio Longino tentava di assestargli un altro colpo, lo mancò e colpì Marco Bruto alla mano. Anche Minucio assalì Cesare, ma prese Rubrio alla coscia. Erano come uomini che combattevano contro di lui. Per le numerose ferite, egli cadde ai piedi della statua di Pompeo. Ognuno voleva mostrare di aver preso parte nell’assassinio e non ci fu nessuno che mancò il suo corpo mentre giaceva a terra, finché quello, ferito trentacinque volte, esalò il suo ultimo respiro.” Nicola Damasceno, Vita di Augusto, 24.
Dunque, a parte Nicola Damasceno, le fonti sono concordi nel riportare il numero di 23 coltellate. Cesare non fu semplicemente ucciso, fu scannato, e il fatto che tutto sembri avvolto da una apparente sembianza di rituale non ne cambia la sostanza. Il corpo venne lasciato là, abbandonato. Grave errore, perchè con quel corpo e da quel corpo Antonio, il giorno del funerale, il 20 marzo, trarrà il maggior profitto: portare i romani lontano dalla causa dei cesaricidi. Il giorno del funerale il popolo romano sfogò tutta la rabbia e la disperazione. Il corpo avrebbe dovuto essere cremato in Campo Marzio, ma la folla, presa dall’emozione, lo bruciò là dove oggi sorge il tempio del Divo Giulio.
Manca ancora il personaggio principale: Ottaviano, che ancora si trova ad Apollonia a perfezionare la sua educazione militare... ma sta arrivando. Il dopo congiura? Cicerone definì i congiurati “cuor di leone e cervello di bambini”. In un primo momento i congiurati esaltati si ritirarono sul Campidoglio e da lì scesero Bruto, Cassio e Cinna ad arringare i Romani e a spiegare le motivazioni. Il popolo è smarrito, non capisce, è frastornato. Inizialmente gli assassini non saranno visti tali, o non fino in fondo, ma la macchina si sta mettendo in moto. Già Antonio si vede a capo della fazione cesariana. Ottaviano sta arrivando, per reclamare la sua eredità - i due terzi del patrimonio di Cesare- e per vendicare quello che ora sa essere il suo nuovo padre- Cesare lo aveva adottato per testamento. I cesaricidi nel giro di tre anni troveranno tutti la morte e per i più sarà violenta. Bruto e Cassio verranno sconfitti da Antonio e Ottaviano a Filippi nel 42 a.C. e moriranno suicidi. Da questo momento in poi la storia è più che nota. Siamo di nuovo alla guerra civile, quella che Cesare prevedeva sarebbe scoppiata con la sua morte. Ottaviano, al temine di uno dei momenti più cupi della Storia di Roma, rimarrà unico in gioco e sarà il vero fondatore dell’impero, portando a compimento il disegno di Cesare, ma in un modo più raffinato e politicamente più accettabile per la vecchia aristocrazia.
Di Cesare Antonio Gramsci ha scritto “fu il solo tra tutti i sovvertitori dello Stato, a compiere la sua opera senza essere ubriaco”. Cesare è uno tra, se non IL personaggio più affascinante della Storia, sempre fedele alla causa democratica, ebbe la visione del mondo che stava cambiando. Cesare aveva un sogno: trasformare la vecchia, stanca e ormai obsoleta Repubblica in uno Stato di respiro universale, più moderno e attento alle nuove forze emergenti dell’Impero. Una giustizia sociale più equa e attenta ai bisogni delle masse, ma senza cadere dal popolare al populismo. Cesare è morto. Ma Cesare vive, vive in chi sogna un mondo migliore, degno di poter essere vissuto pienamente, con passione e con dignità. Cesare è morto. Cesare vive.
 
 
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
 
Giulio Cesare. Il dittatore democratico, Luciano Canfora, Editori Laterza, 1999
Il Rivoluzionario Conseguente, Luca Canali- Lorenzo Perilli, Castelvecchi, 2015
La morte di Cesare. L’assassinio più famoso della storia, Barry Strauss, Editori Laterza, 2015
Gli ultimi giorni di Giulio Cesare, Luca Canali, Tascabili Newton, 2011
Delitti e congiure nell’antica Roma, Luca Canali, Piemme Editore, 2002
Annibale e la “Fobia Romana” di Freud, Luca Canali, Carocci, 2008
Giulio Cesare, Jéròme Carcopino, Tascabili Bompiani, ediz. riveduta, 2000
Giulio Cesare, Christian Meier, Garzanti, 2004
Giulio Cesare, Luca Canali, Edizioni Studio Tesi, 1977
Giulio Cesare, William Shakespeare, Newton Compton, 1990
Vite dei Cesari, Svetonio, BUR Rizzoli, 1982
Le Filippiche, Cicerone, BUR Rizzoli, 2017
Storia Romana, Cassio Dione, 44, 19, BUR Rizzoli, 2003
Guerre Civili, Appiano, II, BUR Rizzoli, 2008
Vita di Augusto, Nicola Damasceno, Laterza, 1998
Vita di Cesare, Plutarco, BUR Rizzoli, 2006
Riflessi dell’oratoria reale nei discorsi sulla morte di Cesare: il caso di Bruto
AAVV dal WEB.
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44 a.C. IDI DI MARZO. Come si costruisce una congiura (quinta parte)

4/16/2018

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.La congiura. I congiurati si mossero in segreto, in piccoli gruppi, scegliendo e reclutando con attenzione. Ognuno espresse il proprio astio contro Cesare, ma dalle fonti sappiamo che nessuno fece  giuramento. In gioco non era solo la libertà ma la situazione precedente a Cesare, per cui l’eliminazione avrebbe dovuto veder coinvolti anche gli uomini più vicini al dittatore, fra questi Antonio. Cassio non ha dubbi e neanche Cicerone, da alcuni ritenuto il Grande Vecchio dietro le quinte, da altri solo informato ma non attivamente coinvolto. Se Antonio non subì il destino di Cesare fu solo per irrevocabile decisione di Bruto : solo il tiranno deve morire, e forse magari Antonio si sarebbe unito a loro. Bruto avversava il Cesare re non  le riforme in atto, che, per altro, avrebbero assicurato il favore del popolo e dell’esercito. La mancata uccisione di Antonio, scagiona, almeno per me, Cicerone. L’oratore a più riprese affermò che se fosse stato per lui avrebbe tagliato il mostro a due teste. In più abbiamo una lettera privata di Cicerone a Cassio :”Questo pazzo di Antonio pretende che io sia stato il promotore della vostra stupenda azione. Lo fossi stato davvero! Lui non sarebbe qui vivo a tormentarci”.
Luogo e giorno: sicuramente prima del 18 marzo, data stabilita per la partenza in Oriente e un luogo simbolico. Inizialmente qualcuno aveva pensato al Campo Marzio, alla Via Sacra o mentre entrava in teatro, ma venne scelto un luogo simbolo, di prestigio, sacro, la Curia di Pompeo (l’altra Curia era chiusa per restauro). Per i congiurati il luogo era determinante, non solo per il buon esito, ma per dimostrare che non si trattava di un semplice omicidio, ma di un atto di “liberazione dal tiranno”. Le fonti unanimamente sono concordi nel dire che fu dopo l’episodio dei Lupercali che la congiura si mise in moto. In realtà era già in fieri, ma solo dopo il 15 febbraio Cassio si riavvicina a Bruto, ed è in questo momento e non prima che Bruto entra in azione. Bruto è l’uomo simbolo che può mettere daccordo tutti e per il nome che porta e per la sua vicinanza a Cesare. Chi meglio dell’uomo amato favorito e perdonato può incarnare l’ideale della libertà sopra ogni cosa? Già da giorni circolavano voci e scritte che inneggiavano Bruto a ricordarsi le sue origini, voci e scritte messe là ad hoc da Cassio e dai suoi compari. E’ ora che Bruto si muove per portare a sè i consensi dei senatori più papabili. Ma, inaspettatamente riceve due rifiuti da due catoniani e pompeiani d’eccezione, Favonio e Statilio. Per entrambi la dittatura di Cesare, per quanto deprecabile è meglio di una sicura guerra civile... quasi dei veggenti (entrambi però li ritroveremo a Filippi nello scontro finale tra cesaricidi e Augusto). Ed è questo uno dei motivi che spianerà la strada ad Augusto, la stanchezza. Stanchezza della guerra, del terrore, delle proscrizioni, dei romani contro romani.
Ognuno dei congiurati deve fare la sua parte. Decimo si assicurerà che Cesare si presenti in Senato e metterà a disposizione la sua squadra di gladiatori in caso di necessità, Trebonio terrà fuori dalla Curia Antonio, gli altri faranno il resto.
E qui il mistero. Cesare pochi giorni prima delle Idi congeda la sua scorta. Era a conoscenza Cesare della congiura? Si. Voci circolavano già da tempo. Ai suoi amici disse: ”Cosa credete che voglia Cassio? A me quel suo pallore eccessivo non piace troppo”. E ancora da chi lo mise in guardia da Antonio e Dolabella:” non temo affatto le persone ben nutrite e con la chioma lunga come la loro, bensì piuttosto quelle pallide e magre”. A parte la storia del pallore che torna sempre, direi che l’allusione a Bruto e Cassio è evidente. Quindi Cesare sa. In più una serie di eventi prodigiosi, naturali o costruiti ad hoc, avevano preannunciato la catastrofe imminente. Ma Cesare razionale e beffardo decise di non dar credito nè ai segni celesti nè a quelli umani. Però congedare la guardia del corpo sembra un’azione assolutamente priva di logica vista l’aria che tira. Se ne sono date più spiegazioni. A più riprese arrivarono nel corso di quei mesi notizie di varie congiure e complotti per cui aveva due alternative, o diventare diffidente e persecutorio, come altri dopo di lui, o semplicemente non dar retta alle voci. Poco tempo prima i Senatori avevano fatto giuramento di difendere la sua persona con le loro vite, se ne fosse stato necessario, e forse Cesare davvero credette a quel giuramento. Altri come Svetonio, riportano la sua depressione degli ultimi tempi. Stanco e affetto da epilessia che lo lasciava spossato, Giulio aveva allentato il mordente sulla vita. O forse per sfidare la sorte? Soldato, guerriero, orgoglioso, arrogante; credeva da solo di poter sconfiggere tutti? Che poi solo solo non era. Continuò ad essere accompagnato dai littori, uomini nerboruti che con bastoni e scuri avrebbero allontanato i male intenzionati in caso di bisogno. O forse, in parte sapeva che la  sua esistenza in vita avrebbe scongiurato nuove guerre civili (che in effetti poi puntualmente ci furono), in parte volle essere coerente con il suo programma di riforma pacifica e clemente. Egli davvero pensava che le sue riforme razionali e moderate fossero per il bene di tutti, anche di quella parte dello Stato che ancora non aveva il quadro ampio della nuova politica, ma che col tempo sarebbe stato proiettato in un futuro sovranazionale. E per questo, il “dittatore democratico”, liquidò la scorta:” ...Sperimentare sulla propria pelle, se un’intera vita spesa in tutte le circostanze e su tutti i fronti per realizzare la propria vocazione a realizzare il messaggio di un’esistenza totale e più umana delle moltitudini assembrate all’ombra della sua visione politica, avesse avuto un senso, cioè un’incidenza positiva sulla natura dell’uomo....nel momento supremo della sua vita, Cesare volle affrontare il definitivo dilemma: ottenere una nuova e strepitosa vittoria politica bloccando con il suo temerario coraggio le intenzioni omicide dei congiurati, oppure una rapida morte cui egli andava consapevolmente incontro: cioè in fondo un suicidio per mano altrui” queste le considerazioni illuminate di Luca Canali.
Ed è con questa consapevolezza che Cesare si appresta al giorno fatidico, al suo appuntamento con il destino.
                                                                        
​                                                                 CONTINUA..........


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44 a.C. IDI DI MARZO. Come si costruisce una congiura ( quarta parte)

4/10/2018

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​Perchè?. Più ci si addentra nel vivo della congiura più vengono fuori ambizioni, grandezze e miserie dei protagonisti. La Storia non è solo un elenco di fatti, ma è come la legge, è interpretabile. Fiumi di parole hanno riempito altrettanti fiumi di pagine e, di volta in volta, di tempo in tempo, i protagonisti sono stati definiti liberatori o assassini spietati. Oggi la tendenza è rispondere alla domanda cui bono? A chi giova? Certo non ai congiurati che Cicerone definì amaramente “cuor di leone, cervello di bambini”. Alla Repubblica? Direi proprio di no visti i risultati. Se Cesare fu il grande bozzettista di un nuovo modo di intendere Roma, Augusto ne compì il disegno, dando il via ad un sistema politico del tutto nuovo. Al popolo? Per il popolo nulla cambiò da un passaggio di governo ad un altro, anzi, il populismo propagandistico di cui fu accusato Cesare e dopo di lui gli imperatori, si reggeva sul consenso del popolo, che a più riprese beneficiò di elargizioni e nuovi impulsi economici. Cui bono allora? A nessuno. Fu un’azione efferata quanto inutile. Ma rimandiamo queste considerazioni alla fase conclusiva. Al rientro dalla campagna spagnola l’azione politica di Cesare prende una piega  decisamente più assolutista. E chissà? Magari Cesare, era stanco di giocare al gioco delle parti. Forse ritenne che la nuova visione  di superamento della vecchia e stanca oligarchia dovesse richiedere un atteggiamento più autoritario o forse, non seppe interpretare il ruolo di mediatore ossequioso, come mezzo per un fine più alto (parte che calzò a pennello ad Ottaviano dopo di lui). “Storici antichi testimoniano l’inasprimento del carattere di Cesare negli ultimi tempi delle sua vita: si tratta evidentemente della deformazione psicologica di un dato politico. Non era, o non era in primo luogo, il carattere di Cesare, la sua politica che doveva inasprirsi trovandosi progressivamente, nel suo attuarsi di fronte a resistenze e difficoltà che non potevano essere superate se non con un dispotismo assoluto, anche se illuminato. Il fatto che nell’ultimo periodo della sua vita Cesare andasse ulteriormente accentrando e “orientalizzando” il suo potere, testimonia indubbiamente anche una deroga dalla pratica della clemenza, e il riconoscimento della necessità di procedere anche contro la legalità formale; ma forse anche il manifestarsi della delusione di Cesare a proposito della capacità pacificamente persuasiva della sua politica.” Così scriveva Luca Canali, partigiano, scrittore, latinista e grande esperto Cesariano.  Vabbè ma che aveva fatto Cesare per inasprire così gli animi di tutti? Quali le riforme che tanto sembravano sovvertire alla base le fondamenta della Repubblica ? Antonio Gramsci in uno dei suoi Quaderni dal Carcere definisce Cesare un “dittatore democratico” e indica come la grave crisi del mondo romano fosse  lo squilibrio, ormai intollerabile, tra il lusso degli aristocratici parassiti latifondisti e la miseria di masse proletarie alle quali venivano tolte dignità e terre. Questa della redistribuzione della terra è stata a lungo una nota dolente; lo sanno bene i fratelli Gracchi che, prima Tiberio e dopo Gaio ci rimisero la pelle tentando di operare riforme e aggiustamenti... Cesare è un rivoluzionario, razionale, spregiudicato, affrancato da schemi filosofici e religiosi,e la sua fu una rivoluzione laica  e visionaria, per la nascita di una cultura nuova, di un’economia e uno Stato universale, in opposizione all’irrazionale e chiusa organizzazione sociale tradizionale. Tanto per cominciare la questione della cittadinanza. Nuove forze sociali premono per il riconoscimento di se stesse: provinciali, uomini nuovi. Galli, Ispanici, suoi ufficiali e centurioni, vengono integrati a rimpolpare la burocrazia senatoria ed equestre romana. Il senato venne portato da 600 a 900 membri. Posso solo immaginare le facce dei senatori “romani de Roma” sedersi  accanto  e dividere prestigio e potere con quelli che fino al giorno prima erano solo provinciali sottomessi. Cesare emanò leggi contro il lusso e lo spreco eccessivi, assegnò territori demaniali a nuovi piccoli proprietari, rispolverando le riforme gracchiane. E ancora: per le terre da pascolo stabilì che un terzo dei lavoranti, fino ad allora schiavi, fosse di origine libera, cittadini disoccupati. Non basta? Mise dei funzionari e rappresentanti locali di sua fiducia a controllare  proconsoli, propretori e pubblicani per sovrintendere al controllo delle tassazioni sui provinciali. Niente più vessazioni e creste!  Non condonò completamente i debiti, ma impose che la somma fosse calcolata a prima delle guerre e prima della svalutazione della moneta; una soluzione equa che scontentò tutti, debitori e creditori. Altro che populista. Ultimo ma non ultimo, rese pubblici gli Acta del Senato, cioè le delibere assempleari del Senato, per un’informazione trasparente. E ancora ci chiediamo come mai Cesare doveva morire? E’ un sovvertitore, uno che  mattone dopo mattone abbatte il muro dell’accentramento del potere e dei privilegi, che vuole o vorrebbe creare uno Stato sovra-nazionale, accogliendo le nuove spinte progressiste e, per farlo, ricorre all’accentramento dei poteri, superando la vecchia libertas repubblicana a favore di una nuova libertà, per nuovi ceti e nuove forze culturali ed economiche. Tanto, forse troppo e tutto insieme, Cesare ha fretta, ma se si opera una rivoluzione radicale contro i poteri forti, non è così che si procede. Augusto, Cesare mio, guarda Augusto! Festina lente, affrettati lentamente è il motto del vero primo imperatore. Prima il Terrore, come mai ci fu sotto Cesare e poi, passo dopo passo, l’accentramento e le riforme, il tutto mascherato da ossequio e rispetto. In ogni caso Cesare negli ultimi mesi commette una serie di errori che gli alienarono definitivamente nemici e amici, facendo traboccare un vaso ormai colmo. Nelle fonti gli elementi scatenanti del complotto e relativa congiura sono essenzialmente tre. Voglio farveli leggere direttamenti dalle fonti. Per i primi due vi riporterò un passo di Svetonio che nella “Vita di Cesare” così racconta:
”Ma l’odio più grande e implacabile egli se lo attirò con questo fatto: ricevette restando seduto, davanti al tempio di Venere Genitrice, il Senato al completo che era venuto a porgergli parecchi decreti con cui gli conferiva grandissimi onori. Alcuni credono che fosse Cornelio Balbo a trattenerlo mentre stava per alzarsi; altri invece dicono che nemmeno avesse accennato a muoversi, e che avesse perfino gradato con occhio meno amichevole Caio Trebazio perchè lo pregava di alzarsi. E questo suo modo di comportarsi fu stimato intollerabile perchè durante la sfilata di un suo trionfo, quando era passato davanti agli scranni del tribuni della plebe e Ponzio Aquila era stato il solo di quel collegio a non alzarsi in piedi, egli se ne era risentito a tal punto da gridare:” dì  un pò, tribuno Aquila, credi anche di poermi riprendere il potere?”. E per parecchi giorni non aveva mai tralasciato di aggiungere, ogni volta che prometteva qualcosa:” Beninteso, col permesso di Aquila”.
Per l’ultimo e più famoso, l’episodio dei Lupercali, riporto il testo di Nicola Damasceno (Vita di Cesare), ricco di particolari:
“71. […] Nell’inverno si celebrava a Roma una festa (chiamata i Lupercali), durante la quale vecchi e giovani insieme partecipavano a una processione, nudi, unti e cinti, schernendo quanti incontravano e battendoli con strisce di pelle di capra. […] era stato eletto a guidare la processione Antonio; egli attraversava il foro, secondo il vecchio costume, seguito da molta gente. Cesare era seduto sui cosidetti rostri, su un trono d’oro, avvolto in un mantello di porpora. Dapprima lo avvicinò Licinio con una corona d’alloro […] Dato che il posto da cui Cesare parlava al popolo era in alto, Licinio, sollevato dai colleghi, depose il diadema ai piedi di Cesare.
72. Il popolo gridava di porlo sul capo e invitò il magister equitum, Lepido, a farlo, ma questi esitava. In quel momento Cassio Longino, uno dei congiurati, come se fosse veramente benevolo e anche per poter meglio dissimulare le sue malvagie intenzioni, lo prevenne prendendo il diadema e ponendoglielo sulle ginocchia. Con lui anche Publio Casca. Al gesto di rifiuto da parte di Cesare e alle grida del popolo accorse Antonio, nudo, unto d’olio, proprio come si usava durante la processione e glielo depose sul capo. Ma Cesare se lo tolse e lo gettò in mezzo alla folla. Quelli che erano distanti applaudirono questo gesto, quelli che erano vicini invece gridavano che lo accettasse e non rifiutasse il favore del popolo.
73. Su questa vicenda si sentivano opinioni discordanti: alcuni erano sdegnati poiché, secondo loro, si trattava dell’esibizione di un potere che superava i limiti richiesti dalla democrazia; altri lo sostenevano credendo di fargli cosa gradita. Altri ancora spargevano la voce che Antonio avesse agito non senza il suo consenso. Molti avrebbero voluto che diventasse re senza discussioni. Voci di ogni genere circolavano tra la massa. Quando Antonio gli mise il diadema sul capo per la seconda volta, il popolo gridò nella sua lingua: “Salve, re!”. Egli non accettò nemmeno allora e ordinò di portare il diadema nel tempio di Giove Capitolino, al quale, disse, più conveniva. Di nuovo applaudirono gli stessi che prima avevano applaudito.
74. C’è anche un’altra versione: Antonio avrebbe agito così con Cesare volendo ingraziarselo, anzi con l’ultima speranza di essere adottato da lui.
75. Alla fine abbracciò Cesare e passò la corona ad alcuni dei presenti, perché la ponessero sul capo della vicina statua di Cesare. Così fu fatto. In un tale clima, dunque, anche questo evento non meno di altri avvenimenti contribuì a stimolare i congiurati ad un’azione più rapida; esso infatti aveva dato una prova più concreta di quanto sospettavano”.
Tre gocce e la misura è colma.  E’ ora che partono il vero complotto e la vera congiura.
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44 a.C. IDI DI MARZO. Come si costruisce una congiura (terza parte)

4/4/2018

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Cassio e Bruto . “De li altri due c’hanno il capo di sotto,
                              Quel che pende dal nero ceffo è Bruto:
                              Vedi come si storce, e non fa il motto!;
                              E l’altro è Cassio, che par sì membruto. “
                                                                       Dante Alighieri, Inferno, XXXIV, 64-67.
Ed eccoci arrivati ai due protagonisti principali. Dante nella Commedia li schiaffa nel luogo più cupo, nella Giudecca, tra i traditori dei benefattori, insieme a Giuda, condannati ad essere per sempre dilaniati da Lucifero. Direi che è un mònito severo, ma del resto è famoso il detto “ fai del bene e scordatelo”. Questi due personaggi meritano una considerazione più attenta. Chi sono? Cosa li ha spinti, con ruoli e tempi diversi, a uccidere Cesare?
Gaio Cassio Longino, era di famiglia nobile e rispettabile, fervente repubblicano, valente e coraggioso generale. Si dice che da ragazzo fece una scazzottata col figlio di Silla, e già da allora mostrò impegno e intolleranza verso qualsiasi forma di governo tirannico. Shakespeare lo descrive per bocca di Cesare alto, pallido e magro “ quel Cassio ha una faccia smunta e famelica; pensa troppo: gli uomini come lui sono pericolosi”. Fu al servizio di Crasso, uno dei tre Triumviri, nella famosa battaglia di Carre, dove Crasso fu sconfitto e ucciso e il nostro Cassio riuscì a mettersi in salvo salvando la vita a non meno di 10.000 uomini. Non male direi. Governatore in Siria, depredò gli abitanti della sua provincia (malcostume piuttosto diffuso) e si guadagnò l’appellativo di Dattero, perchè vendeva e comprava merci siriane, suscitando non poco scandalo tra gli snob aristocratici romani. Molto vicino a Cicerone, negli anni della guerra civile prese posizione al fianco di Pompeo e lo ritroviamo a Farsalo ancora nelle fila pompeiane. Dopo la vittoria di Cesare, Cassio fa un voltafaccia e si avvicina al vincitore. Si è molto discusso sulla clemenza di Cesare. Cesare, che in Gallia aveva sterminato senza rimpianti intere tribù, con la stessa disinvoltura perdonava i suoi nemici. Ovvio. Cesare è un politico accorto, certamente, ma per carattere forse non ama spargimenti di sangue inutili, pur avendo -bisogna dirlo-  sterminato intere tribù nel corso delle sue campagne di conquista. Leggendo i Commentari tutto avviene con estrema lucidità,  nella logica ferrea del militare razionale dove le ragioni della guerra sono sopra tutto, ma spietatezza no, quella non serve. Si aggiunga che, da fine politico, aveva un’indole pragmatica e l’eliminazione di alcuni nemici che poteva portare alla sua causa gli deve essere sembrata un’azione sciocca e illogica. Luca Canali così scrive:” la clemenza di Cesare aveva come necessaria premessa la degnazione del principe, ossia il concetto che il bisogno di pace sarebbe stato soddisfatto solo nell’ordine di un potere personale fortemente centralizzato: quello del dittatore perpetuo”. Cesare si pone come  il fulcro tra gli optimates -chiusi in un mondo stanco e anacronistico- e la nuova “borghesia” emergente municipale, teso verso un nuovo progresso, una nuova visione universale. Tornato a Roma Cassio è inquieto. Ambisce ancora ad incarichi prestigiosi, la pretura urbana e il consolato. Alla pretura Cesare gli preferì Bruto e i due entrarono in urto...divide et impera potremmo azzardare, ma evidentemente non abbastanza... Nella tradizione il ruolo di Cassio nella congiura è unanimamente riconosciuto come quello dell’ideatore. Le fonti ci parlano di un primo nucleo operativo che da tempo, nascosto nell’ombra, organizzava la congiura e solo in un secondo momento, venne avvicinato e coinvolto attivamente Bruto. Bruto mio ma che combini? Sfatiamo subito la diceria che Marco Giunio Bruto fosse il figlio naturale di Cesare. La matematica non è mai stata il mio forte ma all’epoca della nascita del bimbo Cesare aveva 15 anni. Vabbè che Cesare era sempre un passo avanti a tutti, ma non confondiamo i pettegolezzi con la verità. Bruto è uno di quei personaggi sfuggenti e dai contorni indefiniti. Di lui Cesare disse “Bruto non sa quello che vuole, ma lo vuole fortemente”. Se non fosse per la parte che ebbe nella congiura forse sarebbe scomparso tra le pieghe del tempo. La storia è fatta di protagonisti e comprimari e Bruto appartiene a quest’ultima categoria. Si porta sulle spalle un nome importante “Bruto” il fondatore della Repubblica, colui che cacciò l’ultimo re di Roma e che assistette implacabile alla morte dei figli accusati di voler restaurare la monarchia. Altri tempi e altra caratura. Il nostro di Bruto di grande aveva solo il nome, un nome che pesava come un marchio, un nome con la maiuscola. La madre, Servilia, fu sorella di Catone e amante di Cesare. Il padre, anche lui di nome Marco Giunio Bruto, fu tribuno nell’83 a.C., militò tra i populares al seguito di Mario e venne ucciso per questo, durante la guerra civile, dal luogotenente di Silla, Pompeo. Sì proprio quel Pompeo!  Quando Cesare attraversa il Rubicone e scoppia la seconda grande guerra civile, il ragazzo si schiera dalla parte di Pompeo. In molti se ne sono chiesti la ragione e questa è una e una sola: Catone. Lo zio, unico tra tutti i protagonisti della vita di Cesare che  non fu mai  bandieruola politica, ebbe grande ascendente sul ragazzo, forgiandolo nei principi del mos maiorum, libertas, Res Publica, stoicismo. Da Catone ebbe anche altro, la figlia Porcia in moglie, donna forte, di alti princìpi, che avrà un ruolo non secondario nella vicenda della congiura. A Farsalo, dopo la sconfitta di Pompeo, Bruto cambia idea e si allea con Cesare dal quale non solo è perdonato, ma in premio ha il governo della Gallia Cisalpina e poi la pretura urbana di Roma. Ma di notte il fantasma di Catone visita i suoi sogni e di giorno è la moglie Porcia, determinata quasi o più del padre a ricordargli il suo retaggio. Il ragazzo, frastornato e indeciso, è sballottato di qua e di là, tra le convinzioni del passato e una nuova visione politica ampia, aperta e sconcertante; una figura carismatica, affabile e  quasi paterna quella di Cesare, che tutto perdona e tutto offusca con la sua luce. E Bruto è un’ombra, un’ombra vaga e indefinita  che, nel buio dell’ottusità, verrà avvicinata con fredda determinazione da chi invece le idee ce l’ha e molto chiare, Cassio. Cesare deve morire e perchè questo possa accadere serve un nome,  ma non un nome qualsiasi, uno che incuta soggezione e rispetto, uno che richiami alla mente azioni grandiose e memorabili, serve un “Bruto”. E così fu. 

​                                                                                .....continua
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