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44 a.C. IDI DI MARZO. Come si costruisce una congiura. (sesta e ultima parte)

4/16/2018

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​Idi di Marzo. E' l'alba di una mattina fresca di quasi primavera e una coppia si sveglia in una domus. Entrambi hanno fatto sonni agitati. La donna ha sognato il marito ucciso tra le sue braccia, l'uomo di elevarsi al cielo e stringere le mani a Giove. Lei è Calpurnia, lui  è Cesare e sarà l'ultimo risveglio insieme. Di ragioni per non uscire di casa ce n’erano molte. Prodigi a go go e predizioni tutt’altro che rassicuranti, come quella dell’aruspice Spurinna che aveva invitato Cesare a guardarsi da un periodo negativo che si sarebbe concluso proprio alle Idi di Marzo. Ma tutti noi abbiamo un appuntamento col destino che inesorabile ci sovrasta e ci schernisce. Svetonio ci racconta che la sera prima, al ritorno dalla cena in casa di Emilio Lepido, Cesare era stanco e spossato e così il giorno dopo. Aveva avuto un leggero attacco epilettico notturno? Non lo sapremo mai. Fatto sta che Cesare quella mattina è intenzionato a non uscire di casa se non per piccole incombenze  e manda a chiamare Antonio per avvisare il Senato che la seduta è rimandata. Tra queste incombenze l’abituale sacrificio a Giove a casa di Gneo Domizio Calvino. È qui che avvenne il famoso scambio di battute con Cesare che fa lo spaccone vedendo Spurinna:” Le Idi sono arrivate e non mi è successo nulla” e quello di rimando :” si ma non sono ancora passate”. Ma la congiura deve avere la sua vittima. Ad una certa ora si presenta nella domus di Cesare Decimo. Per il buon esito del tutto è necessario che ogni cosa avvenga secondo i piani e Decimo è là per assicurarsi che Cesare vada alla Curia. Dopo un breve scambio di battute sulle responsabilità di Cesare nei confronti dei Senatori e una presa in giro sui sogni di Capurnia, il dittatore si convince: la seduta sarà rimandata ma sarà egli stesso a dirlo agli Ottimati. Decimo lo PRENDE PER MANO  e insieme escono di casa. Sono più o meno le 11.00. Quel giorno Roma non è traboccante di persone come al solito. Molti cittadini sono al I miglio della via Flaminia a festeggiare la festa di Anna Perenna, una bella scampagnata tra risate e relax. Quella mattina, sul presto anche i congiurati, tra i quali Bruto e Cassio, escono di casa, ma con altra consapevolezza. Quel giorno poi per Cassio è particolarmente importante, il figlio avrebbe indossato la toga virile e sarebbe entrato nel mondo degli adulti. Cesare percorse il tragitto che lo separava dalla Curia di Pompeo in lettiga fermato a più riprese da questuanti e gente del popolo. Tra queste persone le fonti ne ricordano una in particolare, un certo Artemidoro di Cnido che, facendosi largo tra la folla, consegnò a Cesare un biglietto con il consiglio di leggerlo urgentemente. Artemidoro era un insegnante di filosofia della cerchia di Bruto e quel giorno tentò in extremis di avvertire Cesare della congiura. Ma nulla, Cesare non riuscì a leggere il biglietto, ogni volta  venne distolto da qualcosa. Si dice che entrò in Senato stringendolo ancora in mano. Quel giorno chi fosse andato alla Curia di Pompeo avrebbe visto una gran  numero di gladiatori gironzolare tra i portici. Ve li ricordate i gladiatori di Decimo? Sono proprio loro, con la scusa di recuperarne uno fuggito, sono là a presidiare la zona. Prima dell’arrivo di Cesare tutto nella Curia procede come un giorno qualunque. Bruto e Cassio assolvono alle loro funzioni di pretori. Ma la tranquillità è solo apparente. Sotto la toga una ventina di senatori nascondono un pugium, un pugnale, e l’aria è palpabilmente tesa. Un Senatore, Popilio Lenate, avvicina Bruto e Cassio esortandoli a fare presto. La notizia dunque è trapelata.. come se non bastasse a Bruto arriva la notizia che a casa la moglie Porcia è morta. In realtà ha solo avuto un mancamento. La donna, nervosa e ansiogena, è dalla mattina che manda servi al Senato per avere notizie. Quella stessa donna che per dimostrare al marito quanto fosse affidabile, pochi giorni prima si era affondata un coltello nella coscia, dando prova di virile coraggio. Secondo me Bruto dalla notte precedente passata insonne, non era in ansia solo per la congiura ma per la moglie psicopatica! Vabbè, un exemplum virtutis muliebre e la chiudiamo qui. Alla notizia della morte -presunta- della moglie, Bruto non abbandona il suo posto, ormai si è spinto troppo in là. Cesare  arriva in Senato, prende di nuovo gli auspici e ancora una volta sono sfavorevoli. E’ mezzogiorno quando varca la porta della Curia e subito gli si fa dappresso Popilio Lenate. I congiurati temono sia tutto perduto, ma Popilio si allontana tranquillo. Tutto a posto. Cesare ignora. Quel giorno nella Curia erano presenti circa 200 senatori, ma ne mancano due che conosciamo bene: Cicerone, che prudentemente o inconsapevolmente quel giorno non si presentò in aula e Antonio, tenuto fuori da Trebonio con qualche scusa. Prima ancora di sedersi sullo scranno Cesare è attorniato da un gruppo di senatori.
“Mentre si sedeva, i congiurati lo circondarono come per rendergli onore e subito Cimbro Tillio, assuntosi l’incarico dell’iniziativa, gli si fece più vicino, come per chiedergli un favore: Cesare però non volle ascoltarlo e rimandò la cosa ad altro momento. Allora Tillio gli afferrò la toga da entrambe le spalle e mentre Cesare gridava: “Ma questa è davvero violenza!”, uno dei due Casca lo ferì da dietro, poco sotto la gola. Cesare, preso il braccio di Casca, lo trafisse con lo stilo e, mentre tentava di buttarsi in avanti, fu fermato da un’altra ferita. Accortosi che era assalito da tutte le parti con i pugnali sguainati, avvolse la toga attorno al capo e con la sinistra tirò l’orlo fino ai piedi, per morire più decorosamente, coperta anche la parte inferiore del corpo. Così fu trafitto da ventitré pugnalate, con un solo gemito, sussurrato dopo il primo colpo; ma secondo alcuni avrebbe gridato a Marco Bruto, che gli si scagliava contro: “Anche tu, figlio?”. Esanime, rimase lì per un po’, mentre tutti fuggivano, poi, caricato su una lettiga, con un braccio penzoloni, fu portato a casa da tre servi. Nessuna di tante ferite, come sosteneva il medico Antistio, fu letale tranne quella ricevuta per seconda al petto” Svetonio, Vita di Cesare, 82
“Per primo Casca lo colpì al collo con un colpo di pugnale né mortale né profondo; era turbato, com’è naturale all’inizio di un’impresa tanto che Cesare si voltò, afferrò il pugnale e lo tenne fermo. I due gridarono insieme: il ferito in latino: “Maledettissimo Casca, che fai?”, il feritore, in greco, al fratello: “Fratello, aiutami!”. Tale fu l’inizio del delitto e chi era all’oscuro di tutto fu colto da stupore e terrore per ciò che stava accadendo, senza osar né fuggire, né difendere Cesare, e neppure gridare. Ma poiché tutti coloro che avevano deciso di ucciderlo mostravano la spada sguainata, Cesare, circondato da ogni parte e incontrando, ovunque volgesse lo sguardo, pugnalate e armi puntate contro il viso e gli occhi, inseguito come una bestia, s’impigliava nelle mani di tutti: bisognava infatti che tutti quanti partecipassero al sacrificio e gustassero il sangue. Perciò anche Bruto gli vibrò un colpo all’inguine. Alcuni sostengono che, mentre Cesare dagli altri si difese trascinando il suo corpo qua e là ed urlando, quando vide che Bruto aveva impugnato il pugnale, si tirò la veste sul viso e si accasciò, o per caso o spinto dagli assassini, presso la base della statua di Pompeo. E il sangue la inondò, tanto che sembrò che Pompeo stesso guidasse la vendetta contro il nemico, disteso ai piedi e in preda agli spasimi per il gran numero delle ferite ricevute” Plutarco, Vita di Cesare, 66
“Mentre dunque Trebonio parlava con Antonio, gli altri tutti insieme circondarono Cesare, che era facilmente avvicinabile e affabile come chiunque e alcuni conversavano con lui, mentre altri agivano come se dovessero presentargli delle richieste, così che la sua mente non potesse affatto nutrire sospetti. Quando giunse il momento atteso, uno di loro gli si avvicinò come per ringraziarlo di qualche favore o altro e scostò la toga dalla spalla, dando così il segnale convenuto dai cospiratori. Allora lo attaccarono da molte parti al contempo e lo ferirono a morte, cosicché in ragione del loro numero Cesare non potesse dire o fare nulla se non coprirsi il viso. Fu ucciso dalle molte ferite. Questo è il racconto più fedele all’evento, benché alcuni abbiano aggiunto che a Bruto, che lo colpiva con forza, egli disse: “Anche tu, figlio mio” Cassio Dione, Storia Romana, 44, 19, 3-5
“I congiurati lasciarono Trebonio a intrattenere Antonio sulla porta: gli altri, quando Cesare si fu seduto per primo, gli si fecero intorno come degli amici, ma coi pugnali sotto il mantello. Allora Tillio Cimbro, uno di loro, piantatosi davanti, implorava il ritorno del fratello. Cesare rimandava la grazia, anzi la negava del tutto. Allora Cimbro, fingendo di supplicarlo, gli afferrò la porpora; ma nel farlo la avvolse e tirò per denudargli il collo, gridando allora: “Perché tardate ancora, amici!”. Quindi Casca, sovrastandogli il capo, lo pugnalò alla gola; ma mancò il colpo, ferendo il petto. Cesare liberò la sua veste da Cimbro, afferrò la mano a Casca e, balzato giù dallo scranno, si girò verso questi tirandolo con gran forza: ma nel girarsi protese il fianco, dove un altro lo trafisse. Intanto con gli stili in pugno Cassio lo colpì alla faccia, Bruto a un femore, Bucoliano alla schiena. Cesare si voltava verso ciascuno fremendo e stridendo come un animale, ma dopo il colpo di Bruto, ormai perse le speranze nella vita, si avvolse il capo nel mantello e cadde in nobile modo ai piedi della statua di Pompeo. Gli assalitori si accanirono su di lui, quando cadde, assestando fino a ventitré colpi, tanto che molti, per l’ansia di ferirlo, ferirono a vicenda se stessi e gli altri” Appiano, Guerre Civili, II, 117
“Al suo ingresso, il senato si alzò in onore alla sua posizione. I congiurati gli stavano accanto. Il più vicino era Tillio Cimbro, il cui fratello era stato esiliato da Cesare. Col pretesto di un’umile rechiesta a favore del fratello, Cimbro lo avvicinò e gli afferrò il mantello della toga, mostrando di agire con troppo ardore per uno che supplica e volendo impedirgli di alzarsi e usare le mani se lo voleva. Cesare si irritò molto, ma gli uomini rimasero fermi nel proposito e tutti subito sguainarono i pugnali e lo assalirono. Per primo Servilio Casca lo colpì con la punta della lama alla spalla sinistra un po’ sopra la clavicola. Nella tensione, però, mancò il punto da colpire. Cesare allora si alzò per proteggersi e nel trambusto Casca gridò in greco al fratello, che lo sentì e conficcò la spada nel costato. Intanto, Cassio lo ferì al viso e Decimo Bruto lo trafisse al fianco. Mentre Cassio Longino tentava di assestargli un altro colpo, lo mancò e colpì Marco Bruto alla mano. Anche Minucio assalì Cesare, ma prese Rubrio alla coscia. Erano come uomini che combattevano contro di lui. Per le numerose ferite, egli cadde ai piedi della statua di Pompeo. Ognuno voleva mostrare di aver preso parte nell’assassinio e non ci fu nessuno che mancò il suo corpo mentre giaceva a terra, finché quello, ferito trentacinque volte, esalò il suo ultimo respiro.” Nicola Damasceno, Vita di Augusto, 24.
Dunque, a parte Nicola Damasceno, le fonti sono concordi nel riportare il numero di 23 coltellate. Cesare non fu semplicemente ucciso, fu scannato, e il fatto che tutto sembri avvolto da una apparente sembianza di rituale non ne cambia la sostanza. Il corpo venne lasciato là, abbandonato. Grave errore, perchè con quel corpo e da quel corpo Antonio, il giorno del funerale, il 20 marzo, trarrà il maggior profitto: portare i romani lontano dalla causa dei cesaricidi. Il giorno del funerale il popolo romano sfogò tutta la rabbia e la disperazione. Il corpo avrebbe dovuto essere cremato in Campo Marzio, ma la folla, presa dall’emozione, lo bruciò là dove oggi sorge il tempio del Divo Giulio.
Manca ancora il personaggio principale: Ottaviano, che ancora si trova ad Apollonia a perfezionare la sua educazione militare... ma sta arrivando. Il dopo congiura? Cicerone definì i congiurati “cuor di leone e cervello di bambini”. In un primo momento i congiurati esaltati si ritirarono sul Campidoglio e da lì scesero Bruto, Cassio e Cinna ad arringare i Romani e a spiegare le motivazioni. Il popolo è smarrito, non capisce, è frastornato. Inizialmente gli assassini non saranno visti tali, o non fino in fondo, ma la macchina si sta mettendo in moto. Già Antonio si vede a capo della fazione cesariana. Ottaviano sta arrivando, per reclamare la sua eredità - i due terzi del patrimonio di Cesare- e per vendicare quello che ora sa essere il suo nuovo padre- Cesare lo aveva adottato per testamento. I cesaricidi nel giro di tre anni troveranno tutti la morte e per i più sarà violenta. Bruto e Cassio verranno sconfitti da Antonio e Ottaviano a Filippi nel 42 a.C. e moriranno suicidi. Da questo momento in poi la storia è più che nota. Siamo di nuovo alla guerra civile, quella che Cesare prevedeva sarebbe scoppiata con la sua morte. Ottaviano, al temine di uno dei momenti più cupi della Storia di Roma, rimarrà unico in gioco e sarà il vero fondatore dell’impero, portando a compimento il disegno di Cesare, ma in un modo più raffinato e politicamente più accettabile per la vecchia aristocrazia.
Di Cesare Antonio Gramsci ha scritto “fu il solo tra tutti i sovvertitori dello Stato, a compiere la sua opera senza essere ubriaco”. Cesare è uno tra, se non IL personaggio più affascinante della Storia, sempre fedele alla causa democratica, ebbe la visione del mondo che stava cambiando. Cesare aveva un sogno: trasformare la vecchia, stanca e ormai obsoleta Repubblica in uno Stato di respiro universale, più moderno e attento alle nuove forze emergenti dell’Impero. Una giustizia sociale più equa e attenta ai bisogni delle masse, ma senza cadere dal popolare al populismo. Cesare è morto. Ma Cesare vive, vive in chi sogna un mondo migliore, degno di poter essere vissuto pienamente, con passione e con dignità. Cesare è morto. Cesare vive.
 
 
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
 
Giulio Cesare. Il dittatore democratico, Luciano Canfora, Editori Laterza, 1999
Il Rivoluzionario Conseguente, Luca Canali- Lorenzo Perilli, Castelvecchi, 2015
La morte di Cesare. L’assassinio più famoso della storia, Barry Strauss, Editori Laterza, 2015
Gli ultimi giorni di Giulio Cesare, Luca Canali, Tascabili Newton, 2011
Delitti e congiure nell’antica Roma, Luca Canali, Piemme Editore, 2002
Annibale e la “Fobia Romana” di Freud, Luca Canali, Carocci, 2008
Giulio Cesare, Jéròme Carcopino, Tascabili Bompiani, ediz. riveduta, 2000
Giulio Cesare, Christian Meier, Garzanti, 2004
Giulio Cesare, Luca Canali, Edizioni Studio Tesi, 1977
Giulio Cesare, William Shakespeare, Newton Compton, 1990
Vite dei Cesari, Svetonio, BUR Rizzoli, 1982
Le Filippiche, Cicerone, BUR Rizzoli, 2017
Storia Romana, Cassio Dione, 44, 19, BUR Rizzoli, 2003
Guerre Civili, Appiano, II, BUR Rizzoli, 2008
Vita di Augusto, Nicola Damasceno, Laterza, 1998
Vita di Cesare, Plutarco, BUR Rizzoli, 2006
Riflessi dell’oratoria reale nei discorsi sulla morte di Cesare: il caso di Bruto
AAVV dal WEB.
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