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44 a.C. IDI DI MARZO. Come si costruisce una congiura ( quarta parte)

4/10/2018

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​Perchè?. Più ci si addentra nel vivo della congiura più vengono fuori ambizioni, grandezze e miserie dei protagonisti. La Storia non è solo un elenco di fatti, ma è come la legge, è interpretabile. Fiumi di parole hanno riempito altrettanti fiumi di pagine e, di volta in volta, di tempo in tempo, i protagonisti sono stati definiti liberatori o assassini spietati. Oggi la tendenza è rispondere alla domanda cui bono? A chi giova? Certo non ai congiurati che Cicerone definì amaramente “cuor di leone, cervello di bambini”. Alla Repubblica? Direi proprio di no visti i risultati. Se Cesare fu il grande bozzettista di un nuovo modo di intendere Roma, Augusto ne compì il disegno, dando il via ad un sistema politico del tutto nuovo. Al popolo? Per il popolo nulla cambiò da un passaggio di governo ad un altro, anzi, il populismo propagandistico di cui fu accusato Cesare e dopo di lui gli imperatori, si reggeva sul consenso del popolo, che a più riprese beneficiò di elargizioni e nuovi impulsi economici. Cui bono allora? A nessuno. Fu un’azione efferata quanto inutile. Ma rimandiamo queste considerazioni alla fase conclusiva. Al rientro dalla campagna spagnola l’azione politica di Cesare prende una piega  decisamente più assolutista. E chissà? Magari Cesare, era stanco di giocare al gioco delle parti. Forse ritenne che la nuova visione  di superamento della vecchia e stanca oligarchia dovesse richiedere un atteggiamento più autoritario o forse, non seppe interpretare il ruolo di mediatore ossequioso, come mezzo per un fine più alto (parte che calzò a pennello ad Ottaviano dopo di lui). “Storici antichi testimoniano l’inasprimento del carattere di Cesare negli ultimi tempi delle sua vita: si tratta evidentemente della deformazione psicologica di un dato politico. Non era, o non era in primo luogo, il carattere di Cesare, la sua politica che doveva inasprirsi trovandosi progressivamente, nel suo attuarsi di fronte a resistenze e difficoltà che non potevano essere superate se non con un dispotismo assoluto, anche se illuminato. Il fatto che nell’ultimo periodo della sua vita Cesare andasse ulteriormente accentrando e “orientalizzando” il suo potere, testimonia indubbiamente anche una deroga dalla pratica della clemenza, e il riconoscimento della necessità di procedere anche contro la legalità formale; ma forse anche il manifestarsi della delusione di Cesare a proposito della capacità pacificamente persuasiva della sua politica.” Così scriveva Luca Canali, partigiano, scrittore, latinista e grande esperto Cesariano.  Vabbè ma che aveva fatto Cesare per inasprire così gli animi di tutti? Quali le riforme che tanto sembravano sovvertire alla base le fondamenta della Repubblica ? Antonio Gramsci in uno dei suoi Quaderni dal Carcere definisce Cesare un “dittatore democratico” e indica come la grave crisi del mondo romano fosse  lo squilibrio, ormai intollerabile, tra il lusso degli aristocratici parassiti latifondisti e la miseria di masse proletarie alle quali venivano tolte dignità e terre. Questa della redistribuzione della terra è stata a lungo una nota dolente; lo sanno bene i fratelli Gracchi che, prima Tiberio e dopo Gaio ci rimisero la pelle tentando di operare riforme e aggiustamenti... Cesare è un rivoluzionario, razionale, spregiudicato, affrancato da schemi filosofici e religiosi,e la sua fu una rivoluzione laica  e visionaria, per la nascita di una cultura nuova, di un’economia e uno Stato universale, in opposizione all’irrazionale e chiusa organizzazione sociale tradizionale. Tanto per cominciare la questione della cittadinanza. Nuove forze sociali premono per il riconoscimento di se stesse: provinciali, uomini nuovi. Galli, Ispanici, suoi ufficiali e centurioni, vengono integrati a rimpolpare la burocrazia senatoria ed equestre romana. Il senato venne portato da 600 a 900 membri. Posso solo immaginare le facce dei senatori “romani de Roma” sedersi  accanto  e dividere prestigio e potere con quelli che fino al giorno prima erano solo provinciali sottomessi. Cesare emanò leggi contro il lusso e lo spreco eccessivi, assegnò territori demaniali a nuovi piccoli proprietari, rispolverando le riforme gracchiane. E ancora: per le terre da pascolo stabilì che un terzo dei lavoranti, fino ad allora schiavi, fosse di origine libera, cittadini disoccupati. Non basta? Mise dei funzionari e rappresentanti locali di sua fiducia a controllare  proconsoli, propretori e pubblicani per sovrintendere al controllo delle tassazioni sui provinciali. Niente più vessazioni e creste!  Non condonò completamente i debiti, ma impose che la somma fosse calcolata a prima delle guerre e prima della svalutazione della moneta; una soluzione equa che scontentò tutti, debitori e creditori. Altro che populista. Ultimo ma non ultimo, rese pubblici gli Acta del Senato, cioè le delibere assempleari del Senato, per un’informazione trasparente. E ancora ci chiediamo come mai Cesare doveva morire? E’ un sovvertitore, uno che  mattone dopo mattone abbatte il muro dell’accentramento del potere e dei privilegi, che vuole o vorrebbe creare uno Stato sovra-nazionale, accogliendo le nuove spinte progressiste e, per farlo, ricorre all’accentramento dei poteri, superando la vecchia libertas repubblicana a favore di una nuova libertà, per nuovi ceti e nuove forze culturali ed economiche. Tanto, forse troppo e tutto insieme, Cesare ha fretta, ma se si opera una rivoluzione radicale contro i poteri forti, non è così che si procede. Augusto, Cesare mio, guarda Augusto! Festina lente, affrettati lentamente è il motto del vero primo imperatore. Prima il Terrore, come mai ci fu sotto Cesare e poi, passo dopo passo, l’accentramento e le riforme, il tutto mascherato da ossequio e rispetto. In ogni caso Cesare negli ultimi mesi commette una serie di errori che gli alienarono definitivamente nemici e amici, facendo traboccare un vaso ormai colmo. Nelle fonti gli elementi scatenanti del complotto e relativa congiura sono essenzialmente tre. Voglio farveli leggere direttamenti dalle fonti. Per i primi due vi riporterò un passo di Svetonio che nella “Vita di Cesare” così racconta:
”Ma l’odio più grande e implacabile egli se lo attirò con questo fatto: ricevette restando seduto, davanti al tempio di Venere Genitrice, il Senato al completo che era venuto a porgergli parecchi decreti con cui gli conferiva grandissimi onori. Alcuni credono che fosse Cornelio Balbo a trattenerlo mentre stava per alzarsi; altri invece dicono che nemmeno avesse accennato a muoversi, e che avesse perfino gradato con occhio meno amichevole Caio Trebazio perchè lo pregava di alzarsi. E questo suo modo di comportarsi fu stimato intollerabile perchè durante la sfilata di un suo trionfo, quando era passato davanti agli scranni del tribuni della plebe e Ponzio Aquila era stato il solo di quel collegio a non alzarsi in piedi, egli se ne era risentito a tal punto da gridare:” dì  un pò, tribuno Aquila, credi anche di poermi riprendere il potere?”. E per parecchi giorni non aveva mai tralasciato di aggiungere, ogni volta che prometteva qualcosa:” Beninteso, col permesso di Aquila”.
Per l’ultimo e più famoso, l’episodio dei Lupercali, riporto il testo di Nicola Damasceno (Vita di Cesare), ricco di particolari:
“71. […] Nell’inverno si celebrava a Roma una festa (chiamata i Lupercali), durante la quale vecchi e giovani insieme partecipavano a una processione, nudi, unti e cinti, schernendo quanti incontravano e battendoli con strisce di pelle di capra. […] era stato eletto a guidare la processione Antonio; egli attraversava il foro, secondo il vecchio costume, seguito da molta gente. Cesare era seduto sui cosidetti rostri, su un trono d’oro, avvolto in un mantello di porpora. Dapprima lo avvicinò Licinio con una corona d’alloro […] Dato che il posto da cui Cesare parlava al popolo era in alto, Licinio, sollevato dai colleghi, depose il diadema ai piedi di Cesare.
72. Il popolo gridava di porlo sul capo e invitò il magister equitum, Lepido, a farlo, ma questi esitava. In quel momento Cassio Longino, uno dei congiurati, come se fosse veramente benevolo e anche per poter meglio dissimulare le sue malvagie intenzioni, lo prevenne prendendo il diadema e ponendoglielo sulle ginocchia. Con lui anche Publio Casca. Al gesto di rifiuto da parte di Cesare e alle grida del popolo accorse Antonio, nudo, unto d’olio, proprio come si usava durante la processione e glielo depose sul capo. Ma Cesare se lo tolse e lo gettò in mezzo alla folla. Quelli che erano distanti applaudirono questo gesto, quelli che erano vicini invece gridavano che lo accettasse e non rifiutasse il favore del popolo.
73. Su questa vicenda si sentivano opinioni discordanti: alcuni erano sdegnati poiché, secondo loro, si trattava dell’esibizione di un potere che superava i limiti richiesti dalla democrazia; altri lo sostenevano credendo di fargli cosa gradita. Altri ancora spargevano la voce che Antonio avesse agito non senza il suo consenso. Molti avrebbero voluto che diventasse re senza discussioni. Voci di ogni genere circolavano tra la massa. Quando Antonio gli mise il diadema sul capo per la seconda volta, il popolo gridò nella sua lingua: “Salve, re!”. Egli non accettò nemmeno allora e ordinò di portare il diadema nel tempio di Giove Capitolino, al quale, disse, più conveniva. Di nuovo applaudirono gli stessi che prima avevano applaudito.
74. C’è anche un’altra versione: Antonio avrebbe agito così con Cesare volendo ingraziarselo, anzi con l’ultima speranza di essere adottato da lui.
75. Alla fine abbracciò Cesare e passò la corona ad alcuni dei presenti, perché la ponessero sul capo della vicina statua di Cesare. Così fu fatto. In un tale clima, dunque, anche questo evento non meno di altri avvenimenti contribuì a stimolare i congiurati ad un’azione più rapida; esso infatti aveva dato una prova più concreta di quanto sospettavano”.
Tre gocce e la misura è colma.  E’ ora che partono il vero complotto e la vera congiura.
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