Prima di entrare nel vivo della congiura direi che sarebbe opportuno conoscerne meglio i personaggi principali.
Decimo Giunio Bruto Albino. Decimo era uomo di Cesare come nessun altro e aveva combattuto come suo generale in Gallia. Di famiglia illustre ma caduta nell’oblio, seguendo il cammino di Cesare, fece carriera, soldi e anche un buon matrimonio, che non guasta mai. Per tradizione la sua famiglia era di fermo credo repubblicano, fieramente conservatrice, ma il giovane Decimo si legò comunque alla stella nascente, al punto da riceverne l’incarico di pretore a Roma, governatore designato in Gallia e console per il 42.a.C. Tra le molte qualità e ricchezze ne possedeva una in particolare: una squadra privata di gladiatori, che sai com’è, può sempre tornare utile... magari come guardia del corpo nel caso si volesse proteggere una fuga di congiurati. Tra tutti, dopo i funerali e l’apertura del testamento di Cesare che lo vedeva tra gli eredi, fu in assoluto l’uomo più odiato e additato di Roma come traditore. Per Decimo la clemenza e riconoscenza di Cesare forse furono un fardello troppo pesante da portare. Essere l’uomo del capo, il comprimario, l’uomo nell’ombra o rispolverare la dignitas e provare a diventare un protagonista? Decimo ambiva alla fama ma non aveva la lucida visione politica di un Cesare o di un Ottaviano, era un abilissimo e scaltro soldato, ma senza la stoffa del leader. Le origini nobili ed elitarie della sua famiglia e della moglie Paola Valeria si facevano sentire; Cesare apriva il Senato e Roma a nuove forze provinciali emergenti e questo non era tollerabile per un aristocratico come Decimo. Certamente in tutta la vicenda ebbe un ruolo centrale. Era la figura più vicina a Cesare e fu occhi e orecchi dei congiurati. Marco Antonio. Il braccio destro di Cesare non partecipò alla congiura, ma sulla sua cristallinità avanzerei qualche dubbio. Ogni volta che vado al Foro Romano, come in trance, mi ritrovo davanti all’ara commemorativa coperta dal muro di Augusto, sulla quale venne costruito il tempio di Giulio Cesare divinizzato. In quel punto le fonti ci raccontano che fu bruciato il corpo del dittatore per volontà popolare. Oggi resta poco o niente, ma l’impatto emotivo è comunque forte, perchè la Storia non è solo qualcosa di astratto, ma come in questo caso si può vedere e toccare. La penna magistrale di Shakespeare ci ha regalato una delle pagine più alte della drammaturgia di tutti i tempi, la celebre orazione funebre che Antonio declamò il giorno del funerale di Cesare e che qui di seguito voglio riportare integralmente... ma sì diamo un tocco di poesia a questa storia torbida... [Marco Antonio] “Ascoltatemi amici, romani, concittadini… Io vengo a seppellire Cesare, non a lodarlo. Il male che l’uomo fa vive oltre di lui. Il bene sovente, rimane sepolto con le sue ossa… e sia così di Cesare. Il nobile Bruto vi ha detto che Cesare era ambizioso. Grave colpa se ciò fosse vero e Cesare con grave pena l’avrebbe scontata. Ora io con il consenso di Bruto e degli altri, poiché Bruto è uomo d’onore, e anche gli altri, tutti, tutti uomini d’onore… Io vengo a parlarvi di Cesare morto. Era mio amico. Fedele giusto con me… anche se Bruto afferma che era ambizioso e Bruto è uomo d’onore. Si è vero. Sul pianto dei miseri Cesare lacrimava. Un ambizioso dovrebbe avere scorza più dura di questa. E tuttavia sostiene Bruto che egli era ambizioso e Bruto è uomo d’onore. Si è anche vero che tutti voi mi avete visto alle feste dei Lupercali tre volte offrire a Cesare la corona di Re e Cesare tre volte rifiutarla. Era ambizione la sua? E tuttavia è Bruto ad affermare che egli era ambizioso e Bruto, voi lo sapete, è uomo d’onore. Io non vengo qui a smentire Bruto ma soltanto a riferirvi quello che io so. Tutti voi amaste Cesare un tempo, non senza causa. Quale causa vi vieta oggi di piangerlo? Perché o Senno fuggi dagli uomini per rifugiarti tra le belve brute. Perdonatemi amici, il mio cuore giace con Cesare in questa bara. Devo aspettare che esso torni a me. Soltanto fino a ieri la parola di Cesare scuoteva il mondo e ora giace qui in questa bara e non c’è un solo uomo che sia così miserabile da dovergli il rispetto, signori. Signori, se io venissi qui per scuotere il vostro cuore, la vostra mente, per muovervi all’ira alla sedizione farei torto a Bruto, torto a Cassio, uomini d’onore, come sapete. No, no. Non farò loro un tal torto. Oh… preferirei farlo a me stesso, a questo morto, a voi, piuttosto che a uomini d’onore quali essi sono. E tuttavia io ho con me trovata nei suoi scaffali una pergamena con il sigillo di Cesare, il suo testamento. Ebbene se il popolo conoscesse questo testamento, che io non posso farvi leggere perdonatemi, il popolo si getterebbe sulle ferite di Cesare per baciarle, per intingere i drappi nel suo sacro sangue, no… No, amici no, voi non siete pietra né legno, ma uomini. Meglio per voi ignorare, ignorare… che Cesare vi aveva fatto suoi eredi. Perché che cosa accadrebbe se voi lo sapeste? Dovrei… dovrei dunque tradire gli uomini d’onore che hanno pugnalato Cesare? E allora qui tutti intorno a questo morto e se avete lacrime preparatevi a versarle. Tutti voi conoscete questo mantello. Io ricordo la prima sera che Cesare lo indossò. Era una sera d’estate, nella sua tenda, dopo la vittoria sui Nervii. Ebbene qui, ecco.. Qui si è aperta la strada il pugnale di Cassio. Qui la rabbia di Casca. Qui pugnalò Bruto, il beneamato. E quando Bruto estrasse il suo coltello maledetto il sangue di Cesare lo inseguì vedete, si affacciò fin sull’uscio come per sincerarsi che proprio lui, Bruto avesse così brutalmente bussato alla sua porta. Bruto, l’angelo di Cesare. Fu allora che il potente cuore si spezzò e con il volto coperto dal mantello, il grande Cesare cadde. Quale caduta concittadini, tutti… io, voi, tutti cademmo in quel momento mentre sangue e tradimento fiorivano su di noi. Che… ah… adesso piangete? Senza aver visto che le ferite del suo mantello…? Guardate qui, Cesare stesso lacerato dai traditori… No… no, amici no, dolci amici… Buoni amici… Nooo… non fate che sia io a sollevarvi in questa tempesta di ribellione. Uomini d’onore sono coloro che hanno lacerato Cesare e io non sono l’oratore che è Bruto ma un uomo che amava il suo amico, e che vi parla semplice e schietto di ciò che voi stessi vedete e che di per se stesso parla. Le ferite, le ferite… del dolce Cesare… Povere bocche mute… Perchè se io fossi Bruto e Bruto Antonio, qui ora ci sarebbe un Antonio che squasserebbe i vostri spiriti e che ad ognuna delle ferite di Cesare donerebbe una lingua così eloquente da spingere fin le pietre di Roma a sollevarsi, a rivoltarsi.” Shakespeare, Giulio Cesare, Atto III, scena 2 Cesare e Antonio erano parenti, la madre di Antonio, Giulia, era cugina di terzo grado di Cesare. Donnaiolo, bevitore, incline alle zuffe, insomma un bellone inquieto. Ma Antonio fu anche un militare valoroso che già in Oriente si era messo in mostra come condottiero intrepido. Fu così che entrò nelle fila degli ufficiali di Cesare. Lo Troviamo in Gallia, in Spagna e a Farsalo contro Pompeo. Fu questore e Tribuno della plebe per conto del suo generale che una volta diventato dittatore per la seconda volta, lo nominò suo magister equitum, in pratica il secondo al comando. Politicamente parlando non era un granchè, alzando gli occhi al cielo potremmo dire, col senno di poi, tutto muscoli e poco cervello. Quando Dolabella, allora tribuno della plebe chiese la cancellazione dei debiti e il controllo degli affitti, mandò i soldati nel Foro e ne venne fuori un bagno di sangue con 800 morti. Dovette intervenire Cesare a placare gli animi e a mettere i cerotti. Cesare si conciliò con Dolabella e gli promise il consolato insieme ad Antonio per il 44 appena fosse partito per la guerra in Oriente il 18-19 marzo. Antonio figuriamoci, fece fulmini e saette, opponendosi alla cosa come non ci fosse un domani. Tra tutte le fonti, Plutarco, ci dà qualche indizio in più su come fossero, in questo periodo i rapporti tra Cesare e Antonio. Lo storico ci riporta che in un primo momento i congiurati cercarono di avvicinare Antonio alla loro causa, pensando di trovare terreno fertile nei rapporti raggelati di questi con Cesare. Non solo ma ci viene dato un dettaglio ancor più inquietante: sembra che Trebonio abbia avuto un colloquio con Antonio a Narbona, nell’estate del 45, nel tentativo di reclutare Antonio (entrambi erano stati esclusi dalla campagna spagnola). Di questo tentativo o avvicinamento sospetto parla anche Cicerone nella Seconda Filippica contro Antonio che avendo avuto notizie di prima mano, ci fornisce il fatto con dovizia di particolari: "...chè se io fossi stato uno di loro, avrei eliminato dal corpo dello Stato non solo il tiranno ma anche la tirannidee, se quello stilo fosse stato il mio,come circola la voce, avrei portato a termine non un solo atto, ma il dramma tutto intero. Ad ogni modo, se è motivo d'accusa aver desiderato l'assasinio di Cesare, considera, Antonio, te ne prego, quale conseguenza ne verrebbe per te, dal momento che non solo è notorio che progettasti questa impresa a Narbona con Gaio Trebonio, ma pure t'abbiamo visto, proprio grazie a questa complicità, tirato in disparte da Trebonio al momento dell'assassinio di Cesare. Io però considera bene quanto amichevolmente ti tratto- ti lodo per la tua buona intenzione di quella volta, ti ringrazio di non aver denunciato il fatto, ti perdono di non aver agito: quell'impresa richiedeva un vero uomo!" Non sappiamo cosa si siano detti e in che modo eventualmente Trebonio parlò del piano . Trebonio ai complici però riferì dell’insuccesso, e un tentativo ci fu e il discorso che fa Cicerone in Senato, per quanto di parte, rivela indizi e circostanze quanto meno poco chiare. All’inizio di questo racconto abbiamo invocato il tribunale della Storia quale giudice implacabile: sì Antonio non partecipò alla congiura ma sapeva... e non era a conoscenza di voci o pettegolezzi di sempre imminenti cospirazioni, ma di un piano per eliminare Cesare nato tra i suoi più stretti collaboratori. Antonio sapeva e non disse nulla a Cesare. Ambiguo poi il suo comportamento verso i cesaricidi: tentenna, li deferisce, li lascia nei propri incarichi. Solo dopo il funerale e poi con l'arrivo di Ottaviano partirà la vera caccia agli assassini... Ma andiamo avanti. Fu lui incaricato di vendere le proprietà confiscate a Pompeo, lucrandoci sopra, dettaglio che non sfuggì ai suoi contemporanei. E poi il fattaccio: sposò quella virago in gonnella di Fulvia, donna forte e violenta (già vedova di Clodio, un ultrà dei populares, particolarmente inviso a Cicerone). E se già il ragazzone non era nelle grazie dell’oratore, con questo matrimonio lo vide come il fumo agli occhi. Ultimo, l’episodio dei Lupercalia il 14 febbraio del 44 anche se forse non agì per sua completa iniziativa. Ma di questo episodio che diede il via alla congiura vera e propria parleremo più avanti. ....continua
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March 2023
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IRENE SALVATORI |
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