LA CULTURA A 360 GRADI.
“Tramonti e muffati”. La ricerca della tradizione più autentica Irene Salvatori Roma è sempre una scoperta. Ogni angolo trasuda storia e arte. Sono un’archeologa e una persona curiosa, con l’immensa fortuna di condividere la mia vita con una persona che, come me, apprezza la bellezza. A mio marito, e di questo non lo ringrazierò mai abbastanza, devo l’apertura dei miei orizzonti verso altri lidi, e con lui ho ampliato il mio concetto di ciò che significa Cultura. Visitare paesi e città significa esplorarne ogni sfumatura che sia archeologica, artistica o... eno-gastronomica! E su questo, amici, possiamo dire di non essere secondi a nessuno. Da nord a sud è un trionfo di gusti e di sapori, di prodotti tipici e vini che sono il vanto dell’Italia nel mondo. Ebbene, anche se con po’ di ritardo, ci sono arrivata anche io. Non che prima non apprezzassi il buon cibo o il buon vino; semplicemente pensavo che fossero aspetti marginali, a sé stanti. Nulla di più sbagliato. La storia di un popolo è anche e soprattutto la storia della quotidianità, delle tradizioni e degli usi alimentari. Tanto è stato scritto sull’alimentazione nell’antichità e tanto ancora da scrivere. Una ricerca di questo tipo investe molteplici aspetti, dallo studio del vasellame a quello dei traffici commerciali, alla storia delle colture e della tecnologia agricola...al semplice piacere del vivere nel corso dei secoli. Tornando ai nostri giorni e alla mia scoperta dell’acqua calda, con l’entusiasmo del bambino che scopre un nuovo gioco, mi sono immersa nella ricerca di nuovi sapori, di nuove prospettive del gusto. “Irene ti va di assaggiare questo vino? Ho visto che c’è un delizioso localino andiamo?” “Si, certo... vabbhe tanto da lunedì dieta. Vamos!!!” E così tra un giro esplorativo e un bicchiere di vino ho capito due cose: la prima, che non mi piacciono i locali affollati, la seconda che amo gli autentici sapori regionali, quelli che sanno di casa e hanno un passato, una storia da raccontare. Consapevole di questo, la mia metà mi ha portato, un po’ di tempo fa, in un posticino zona Appia-Tuscolana, “Tramonti e Muffati”. Un’epifania! Un piccolo bistrot, raccolto, intimo dall’arredo essenziale. Pochi tavoli, musica da camera in sottofondo, ma soprattutto lui, Marco, che con mix di affabilità e riservatezza da gentiluomo d’altri tempi, accoglie gli ospiti con sommesso “benvenuti”. Il tempo da Tramonti e Muffati si ferma o meglio il tempo è di nuovo nostro. Fermiamoci e rilassiamoci. Finalmente lontani dalla velocità sfibrante della metropoli cominciamo il nostro viaggio tra la semplicità e la riscoperta dei prodotti più autentici del nostro territorio, cercati ad uno ad uno, con infinita pazienza, nelle piccole realtà agricole del Lazio e non solo. Di ogni piatto Marco narra la provenienza e la storia. Qualche sera fa, davanti ad una bottiglia di vino piemontese ho voluto togliermi qualche curiosità e ne è nata questa intervista che vi consiglio di leggere perché vi dice molto e del locale e del suo “oste”. CIAO MARCO, E’ SEMPRE UN PIACERE VENIRE NEL TUO LOCALE. MI HA SEMPRE INCURIOSITO IL NOME. MUFFATI E’ INTUITIVO MA TRAMONTI? Quando ho aperto con mia sorella, nel 1997, i pochi locali romani di questo genere avevano adottato un nome che evocasse direttamente il vino, oppure il cognome di famiglia affermato da tempo nel settore. Al termine di un buon Barolo, finimmo con il formulare una strampalata via di mezzo: Tramonti & Muffati può evocare un binomio professionale, come se ne usano spesso nell'arte o nella moda, mentre in realtà il muffato è una tipologia di vino da meditazione e, con un po' di astrazione, un bel tramonto può suggerire lo stato d'animo con il quale apprezzarlo. ENTRANDO SI E’ACCOLTI DA UN’AVVOLGENTE ATMOSFERA DA BISTROT, RACCOLTO E INTIMO. UNA SCELTA DI GUSTO BEN PRECISA. COME NASCE QUEST’ESPERIENZA? Anche l'atmosfera, che cortesemente definisci intima e raccolta, nasce da suggestioni diverse: innanzitutto l'amore per le osterie di quartiere già scomparse, ma che da bambino ricordo numerose. D'altro canto avevamo la necessità di evitare il rischio che la nostra proposta fosse fraintesa con quella del cibo alla buona e del vino sfuso. Sono cambiate molte cose da allora, quando Slow Food muoveva i primi passi e il prodotto tipico non era ancora di tendenza. Molto di quel che oggi caratterizza l'ambiente che descrivi nasce in quel primo difficile periodo. Così, nel tempo, ho ritenuto prioritaria una dimensione che potesse consentire di fare quattro chiacchiere discrete e di assicurare al vino la quiete indispensabile per essere compreso. QUELLO CHE PIU’ VOLTE MI HA COLPITO E’ LA RICERCATEZZA E LA PECULIARITA’ DEI PRODOTTI CHE OFFRI E LA SCELTA DI ATTINGERE A PICCOLE REALTA’ AGRICOLE DI GRANDE QUALITA’. Ho trascorso parte della mia infanzia con i miei nonni contadini, in un piccolo e sperduto paese dell'Abruzzo, dove la prima cosa che ho appreso è stata la fatica spesa nella produzione del cibo migliore che ci si potesse permettere. COME DETERMINI CHE UN PRODOTTO SIA VALIDO? Per me l'unico prodotto valido, che si tratti di un vino, di un salume o di un formaggio, è quello che rappresenti l'unicità della cultura che lo produce interpretandone il territorio. Grazie ai miei ricordi, nonché allo studio e all'esperienza, ho imparato a riconoscere un prodotto che non sia solo genuino, ma anche ricco di profumi e di sapori. Quando si tratta di lavorazioni artigianali, infatti, due tome dello stesso tipo e dello stesso casaro possono essere molto diverse tra loro. Ciò è anche dovuto al fatto che tutti i prodotti contadini hanno una loro stagionalità, salumi compresi. NON TI LIMITI A PROPORRE UN PRODOTTO NE RACCONTI LA STORIA E LA PROVENIENZA. CONSIGLI IL PERCOSO DEGUSTATIVO Il racconto del contesto è fondamentale. Ogni prodotto, nonché il vino, nasce per essere compreso ed apprezzato nel proprio luogo di origine e non in una grande città, dove l'olfatto si chiude per difendersi dagli infiniti olezzi che lo assediano. Per questo cerco sempre di raccontare quel che servo al tavolo, illustrandone il contesto: pregustare un piatto è importante per riattivare i propri sensi liberandoli dall'assedio. PARLIAMO DI VINI, LA TUA GRANDE PASSIONE. COME NASCE? Sarai sorpresa, ma non nutro passione per il vino in sé; direi solo che ne coltivo la confidenza, perché lo considero uno strumento. Un po' come per gli archeologi: la loro passione non è per il reperto, ma per il racconto che custodisce. Ad ogni modo, grazie ai nonni che ne producevano, il vino era di casa. Uno dei miei primi ricordi è di aver pianto perché non potevo assaggiarne stando al tavolo tra adulti; allora mio padre mi mise nel bicchiere un po' di mosto appena pigiato e, di fronte alla mia ovvia perplessità, mi spiegò che quello era proprio lo stesso vino che bevevano loro, ma che era solo molto giovane, come me: quando fossi diventato un ometto, anche il mio vino sarebbe diventato grande e forte. VINO COME MODA O COME ESPERIENZA SENSORIALE? Oggi vedo molte persone appassionate del vino in sé, dell'esercizio del proprio gusto e della gratificazione sociale che questo comporta. Dimenticano che la magia del vino non sta nel liquido che lo compone, ma è sospesa in un rapporto dialettico tra il calice e chi lo beve. "Ogni vino bevuto ha il suo racconto", scriveva Luigi Veronelli, quindi la nostra capacità di leggerlo non può riassumersi nella sola facoltà di misurarne le qualità. Perciò, nonostante lo studio comunque dedicato e il bagaglio di meditati assaggi ormai invidiabile, non mi sono mai interessato alla qualifica di sommelier. Io sono un oste. Se mi ritrovassi a dover servire solo acqua e non più vino, sono certo che farei esattamente lo stesso mestiere parlando ai miei clienti di sorgenti, minerali, fontane e acquedotti. Il fine sarebbe sempre il racconto del territorio e delle comunità che ne hanno interpretato le risorse. CHI ENTRA E’ ACCOLTO DA MUSICA DA CAMERA. UN SOTTOFONDO MUSICALE ELEGANTISSIMO. QUESTA SCELTA NASCE DA UNA TUA ESPERIENZA PERSONALE VERO? Fuori del mio locale, vivo molto di musica; la suono, la ascolto, la scrivo. Dobbiamo a Sante Lancerio, bottigliere di Paolo III Farnese, il primo trattato (in forma epistolare) sulle diverse qualità dei vini in base alla loro provenienza. Curiosamente, questa sua lettera del 1559 risale allo stesso periodo in cui si riconosce al musicista non più il solo magistero e il diritto d'esserne l'autore, ma anche dignità di espressione artistica. MUSICA E VINO. UN BINOMIO IMPRESCINDIBILE? Benché io non sia uno storico, mi sembra che l'uomo ad un tratto abbia aspirato, con la musica e con il vino, spesso goduti nella stessa occasione, ad una nuova dimensione del benessere connotata da una sorta di contemplazione finalmente laica del bello e del buono. FAI SCELTE MUSICALI PRECISE... Al netto di queste suggestioni, scelgo di proporre musica del Cinque, Sei e Settecento anche perché ha un volume più costante rispetto ad altri generi; questo ne favorisce l'uso da sottofondo che, in un locale raccolto come il mio, ritengo necessario per confondere tra le note la riservatezza delle conversazioni. Amo qualsiasi genere di musica, con rarissime eccezioni; però il barocco strumentale italiano ha avuto le sue scuole ben distinte anche sul piano geografico e, in questa varietà, trovo la liason con quella dei miei prodotti. Anche se, a volte, mi spiace di non poter usare il jazz di Basso e Valdambrini, che pure avrebbe una sua attinenza con le mie fantasie d'osteria; se non altro per il "Blues for Gassmann" e la pasta e ceci ne I Soliti Ignoti. GRAZIE MARCO. ALLA PROSSIMA! Questo è quello che intendo per Cultura a 360 gradi. Realtà come questa vanno ricercate e tutelate perchè sono parte di noi, del nostro piacere di vivere. E’ la ricerca delle nostre origini e della parte di noi che rimane più autentica. E’ cultura... solo da un altro punto di vista.
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10/30/2022 08:54:20 am
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