PASSEGGIANDO TRA I MITREI DI OSTIA ANTICA
IL CULTO DI MITRA Irene Salvatori Sono due le città che dal mondo antico sono arrivate a noi in tutto il loro splendore: Pompei e Ostia antica. Questi due siti, più di altri, solleticano l’immaginario dei visitatori offrendosi agli sguardi, stupiti e increduli, di fiumi di turisti che ogni giorno ripopolano le antiche strade romane. Due città con due storie diverse. L’una, Pompei, è un’istantanea scattata in un giorno qualunque di fine estate, inizio autunno secondo le più recenti ricerche. E come una fotografia, in quel giorno, la vita fu congelata da una tragedia immane, l’attimo divenne eterno, per sempre. Ostia antica al contrario si mostra in tutte le fasi di una città. Dal più antico castrum alla decadenza e all’abbandono, passando per lo splendore del secolo di Traiano e degli Antonini. L’area di Ostia antica, il cui nome deriva da ostium- foce, si presenta agli occhi dello studioso quanto del turista, come fonte inesauribile di bellezze archeologiche. Passeggiare tra le rovine di antiche domus, di insulae, di botteghe, terme e templi ci trasporta in un tempo lontano, talmente in là da sembrare una favola Poco si sa della vita della città prima della fondazione del castrum-accampamento del IV secolo a.C. Le fonti collocano tale fondazione nel regno del quarto re di Roma, Anco Marcio, nell’ambito di un periodo che vede l’Urbe allargare i propri confini nei territori vicini. Il controllo delle Saline (il sale è un bene assoluto nel mondo antico) e dello sbocco del Tevere sul mare, furono tra i motivi che spinsero la città a installare in quel punto un avamposto militare. Si tratta della prima colonia e gli autori antichi narrano fosse abitata dalla tribù Voturia. La vocazione di porto, anche se ancora a livello embrionale, fece di Ostia ben presto una città brillante e attiva. Crebbe la popolazione e fiorirono i commerci. Le prime vere mura difensive furono donate da Silla a seguito della guerra civile con Mario. Ostia, che si era schierata dalla parte sillana, fu omaggiata di una cinta muraria che circondò un’area di circa 69 ettari dei quali 50 abitati, tra alterne vicende, fino alla tarda antichità. Le testimonianze archeologiche e letterarie attestano che intorno al V secolo d.C. il declino era ormai in atto e già avviato da tempo, ma il definitivo abbandono della città si ebbe solo più tardi, nel IX secolo, quando le scorrerie dei Saraceni indussero gli abitanti di Ostia a trasferirsi definitivamente nel vicino borgo di Gregoriopoli, la moderna Ostia antica. In un arco cronologico così ampio, dobbiamo ragionevolmente supporre che furono molti i cambiamenti sociali e religiosi dei quali gli abitanti della città furono partecipi testimoni. Da piccolo villaggio, con il boom economico all’epoca di Traiano, Ostia fu al centro di traffici nazionali e internazionali. I mercanti approdavano dalle province imperiali e soprattutto dal bacino orientale del Mediterraneo, portando con sé merci ma soprattutto usanze e pratiche religiose delle loro terre d’origine. Mille lingue e mille fisionomie avremmo udito e visto camminando per le strade affollate del porto. Le molteplici religioni e culti, estranei al mondo romano, sono attestati da una ricca documentazione archeologica e epigrafica. La rapidità con la quale tali culti si diffusero tra il I e il II secolo d.C. ha indotto gli studiosi a pensare che siano stati appoggiati, o quanto meno favoriti, dall’autorità imperiale. Roma non era nuova all’accettazione di divinità non appartenenti al pantheon romano. Già dal III secolo a.C., nel corso della seconda guerra punica, era stato introdotto il culto della Magna Mater-Cibele, simboleggiato da una pietra nera, all’interno del sacro confine del pomoerium. Erano tempi difficili con Annibale che metteva a ferro e fuoco l’Italia e un aiutino dall’esterno non guastava ... Ormai era fatta: con l’introduzione di questo culto di origine frigia il mondo delle divinità romane si era ufficialmente sprovincializzato e aperto al mondo. Anche a Ostia la dea frigia è ampiamente documentata. Al suo culto era associato quello del giovane Attis, suo divino servitore. Narra la leggenda che, tra alterne vicende, la Magna Mater-Cibele, invaghita del bel giovane Attis, fece uccidere la sua amata, la ninfa Sangaride. Attis, sconvolto dal dolore, si evirò per non dover soggiacere ai piaceri della dea. Cibele impietosita, gli perdonò l’affronto, gli restituì la sua virilità e lo prese al suo servizio. Tante altre sono leggende che legano le due divinità, ma tale mutilazione sembra sia stata una caratteristica costante praticata dai sacerdoti nel corso delle cerimonie di iniziazione al culto. Altre divinità, Iside e Serapide, arrivarono dall’Egitto, precisamente da Alessandria, l’altra grande metropoli del mondo antico. E ancora, culti misterici e iniziatici dalla Grecia. Dal vicino Oriente, ma non ne parleremo perché meriterebbero un lungo capitolo a parte, arrivarono anche la religione ebraica e il cristianesimo. L’ultimo ad arrivare, ma forse il più diffuso nel mondo romano e a Ostia, fu il culto di Mitra, alla metà del II secolo d.C. Il culto di Mitra affonda le proprie radici nell’Oriente Persiano dove ebbe una notevole diffusione nel XV secolo a.C. In seguito, si estese ad est, arrivando nell’Estremo Oriente Cinese, passando per l’India e, a ovest, lungo il limes romano. Il Mitra persiano è una divinità di primo piano nel mondo iranico, è il dio della luce, del sole, il protettore della nazione ariana e il suo nome è etimologicamente riconducibile al concetto alleanza fondata su un patto tra adepti e dio: egli è il testimone per eccellenza, il garante della lealtà e dell’amicizia. La figura di Mitra rimase in auge fino alla riforma di Zoroastro che rielaborò il politeismo persiano imponendo un rigido monoteismo (628-651 a.C.). In Occidente il dio persiano si diffuse con le campagne di Alessandro Magno nel IV secolo. Alessandro, nel suo disegno di creare l’impero più vasto che occhi di uomini avessero mai visto, era arrivato addirittura in India e aveva sconfitto l’Impero persiano. E’ qui che i suoi soldati vennero a contatto con questa nuova religione. Furono ancora dei soldati, stavolta romani, che di ritorno dalle campagne in Asia, al seguito di Pompeo, introdussero il culto a Roma. Siamo intorno al 67-66 a.C. Non è un caso se il culto si sia radicato così in profondità negli eserciti: il pactum era un modo per legare tra loro i soldati e essi stessi ai propri comandanti. Tra tanti passaggi si perse la vocazione pubblica del culto. La differenza sostanziale tra il culto persiano e quello arrivato a Roma è nel numero dei fedeli ammessi al rito. In Persia fu una religione ufficiale alla quale partecipavano tutti, a Roma divenne un culto misterico (la conoscenza avveniva attraverso vari gradi di consapevolezza), fuori dai circoli ufficiali e al quale erano ammesse solo piccole comunità di adepti. La leggenda narra che Mitra, dio del cielo, nacque da una roccia, in una grotta, per salvare il mondo, portando vita e fertilità sulla terra. In seguito, Apollo inviò un corvo a Mitra ordinandogli di versare il sangue di un animale che aveva la pienezza della vita. Si trattava di un toro che viveva sulla Luna. Nel corso della lotta, sempre rappresentata su affreschi o altari, il giovane dio riuscì a uccidere l’animale. All’azione parteciparono un cane da caccia, un serpente e uno scorpione. Dal sangue versato nacque la vita vegetale, animale e tutto ciò in cui risiedano bontà e prosperità. Lo scorpione però, zitto zitto, bevve o disperse un po’ di quel sacro sangue e così nel mondo fu portato anche il male. Finita la lotta Apollo e Mitra celebrarono la vittoria con un fastoso banchetto e Mitra ascese al cielo diventando un occhio del dio del sole. Il tutto celebra una visione dualistica del mondo diviso nel Bene e nel Male, buio dell’inconsapevolezza e luce della conoscenza. Il culto è misterico, prevede cioè un’iniziazione che, per gradi successivi, accompagna il fedele alla piena consapevolezza e alla somma conoscenza. Perno del culto sono i sette gradi o passaggi ai quali l’adepto deve sottoporsi incondizionatamente. È una dottrina complessa e articolata connotata da forti richiami simbolici. A Ostia uno dei più famosi, il mitreo del Felicissimo, illustra bene tutti i passaggi e i gradi del culto nel mosaico pavimentale rimasto. Della costruzione in alzato non è rimasto nulla, ma il pavimento è davvero una miniera d’informazioni. Ogni passaggio e ogni grado sono rappresentati quasi in maniera didascalica. Fossi in voi una visitina ce la farei. Ora passiamo a descrivere i gradi di iniziazione partendo proprio dal pavimento di questo mitreo. Il primo grado era quello del corax, il corvo, sotto la protezione di Mercurio. Questa prima fase simboleggia metaforicamente la morte del neofita, il quale muore come essere impuro e rinasce come adepto del dio. All’iniziato veniva data una formula da ripetere, e i suoi peccati venivano lavati con acqua mediante il rito del “battesimo”. Colui che apparteneva a questo grado doveva portare sul viso la maschera di un corvo e nelle mani un caduceo e un boccale d’acqua. Il secondo grado era quello del nymphus, lo sposo, sotto la protezione di Venere. Il neofita non è ancora in grado di vedere la luce della verità fino a quando il velo dell’ignoranza non sia stato rimosso. In questo caso l’adepto indossava un velo giallo sul viso, giallo come quello delle spose, che al fine della cerimonia veniva rimosso; doveva rimanere casto finché non fosse passato al grado successivo. In questa fase l’iniziato era lo sposo di Mitra, si congiungeva spiritualmente al dio e il suo compito era di portare acqua alla statua e assicurare l’illuminazione al mitreo: non a caso il simbolo di questo grado è una torcia. Il grado successivo è il miles, il soldato, sotto la tutela di Marte. L’adepto deve ora inginocchiarsi (sottomissione religiosa) senza indumenti ( rinnegazione della vita precedente), bendato e con le mani legate. All’iniziato viene porta una corona sulla punta di una lancia, ma costui la rifiuta affermando che solo Mitra è la sua corona. A questo punto i cordami vengono tagliati di netto e tolte le bende dagli occhi. I simboli di questo grado sono la spada, la corona il cappello frigio e l’elmo di Marte. A questo punto si entrava di fatto nella vera e propria comunità mitraica. Il quarto grado è quello del leo, il leone, sotto la tutela di Giove. Da questo momento si accedeva a i livelli più alti e più sacri, si usciva dall’elemento dell’acqua e si entrava in quello del fuoco. Per tale motivo ai convenuti a questo livello era vietato toccare acqua che veniva sostituita dal miele. Il leone aveva due compiti: portare il cibo per il pasto rituale e sorvegliare che il fuoco dell’altare sacro non si spegnesse. Nelle celebrazioni indossava una toga rossa come il fuoco e i suoi simboli erano il fulmine e il sistro, uno strumento musicale. Il quinto grado è il perses, il persiano, sotto la protezione della Luna. Anche il perses era purificato con il miele che nell’antichità era in relazione con l’idea di fertilità, da cui l’espressione “luna di miele”. Il suo compito nei riti era di offrire frutti al dio e ai commensali sdraiati su banconi di pietra. Simbolo del persiano sono la falce, una spada e il berretto frigio. Il penultimo livello, il sesto, è l’heliodromus, il camminatore del sole, sotto la tutela del Sole. Ora il mitraico è il rappresentante del Sole/Mitra e, nel corso del banchetto rituale, si presenta vestito di rosso con una cintura gialla, i colori del sole e della fiamma della vita. I suoi attributi sono una torcia e una frusta (simbolo della quadriga solare guidata da Apollo). Il settimo grado, il più importante, è quello del pater, il padre, sotto la protezione di Saturno. Il pater è il rappresentante di Mitra in terra e come il dio, incarna la forza vitale della luce. Gli attributi sono un mantello rosso, pantaloni alla persiana ed un bastone, simbolo della dignità morale. I suoi simboli sono un berretto frigio ornato di perle, una patera (piatto rituale) e un falcetto. Il capo di tutte le comunità era detto Pater Patrum, il padre dei padri e, alla sua morte, veniva indicato con le prime due lettere di entrambe le parole: PAPA. I passaggi da un grado all’altro probabilmente avvenivano nel giorno della festa del sole tra il 21 e il 25 dicembre. In quei giorni nei mitrei veniva sacrificato un toro, il cui sangue veniva raccolto in una fossa apposita scavata vicino all’altare, la cosiddetta fossa sanguinis, che si trova in numerosi mitrei. Dunque, il culto di Mitra fu l’ultimo ad essere introdotto nel mondo romano ed ebbe un tale successo e una tale diffusione che nel III secolo della nostra era assunse quasi il ruolo di religione di stato. A Ostia antica sono 17 i mitrei conosciuti, sparsi un po’ ovunque nell’area della città, alcuni ben conservati altri molto meno. Al visitatore che si avventuri nella ricerca può capitare di passare davanti ad un mitreo e non accorgersene, se non leggendo l’indicazione. I santuari erano per lo più ricavati riutilizzando edifici preesistenti messi a disposizione dai proprietari convertiti al culto: un po’ come accadde per i primi luoghi di culto cristiani, i titula. Il ceto degli iniziati sembra essere stato quello dei medi imprenditori e mercanti ma spesso aderivano persone più umili, come i liberti o altri . Solo in un momento successivo il culto approdò ai livelli più alti della società romana, baluardo contro il cristianesimo dilagante. Il rito era segreto e l’architettura dei mitrei sembra rispondere a questa esigenza di riservatezza. L’ingresso non è mai rivolto verso la strada principale, ma vi si accede da un vicolo secondario. A volte gli edifici sono sotterranei, come quello delle Terme di Mitra o molti a Roma. La pianta è generalmente allungata con una volta a botte, a imitare la caverna in cui nacque il dio. A volte sul soffitto sono dipinte stelle o elementi che richiamano i pianeti e la vocazione cosmogonica del culto. Sui lati lunghi dei mitrei correvano due banconi di pietra che servivano ad appoggiare il cibo servito a i fedeli che qui mangiavano sdraiati. Sul lato lungo, opposto all’ingresso, nella maggioranza dei casi era situata la statua del dio o un altare con la sua rappresentazione. Ai lati dell’altare sono sempre rappresentate le figure di due giovani, i dadofori, portatori di luce, Cautes e Cautopates. Cautes è rappresentato con la fiaccola alzata a rappresentare la vita e il giorno. Cautopates ha la fiaccola abbassata e simboleggia la notte, il momento della discesa del sole e la morte. Un culto complesso dal quale erano tassativamente escluse le donne: è un mondo maschile quello che avremmo visto muoversi nei mitrei. Nel corso del IV secolo, con la liberalizzazione della religione cristiana ad opera dell’imperatore Costantino, i luoghi di culto pagani si avviarono verso il degrado e l’oblio. La sorte dei mitrei sembra però essere stata un po’ diversa. Da parte cristiana ci fu un accanimento distruttore nei confronti di questi edifici: alcuni recano delle tracce d’incendio. Le fonti cristiane parlano addirittura di odio. Perché tanto astio? I cristiani si sentivano minacciati? In effetti tra i due culti esistono numerose affinità sia rituali sia ideologiche. Entrambi sono misterici, prevedono cioè che la consapevolezza arrivi per gradi successivi; entrambi prevedono dottrine soteriologiche, cioè della salvezza del fedele. Tutti e due hanno il dualismo di fondo della contrapposizione del Bene e del Male. Le cerimonie rituali, inoltre, presentano molte analogie: battesimo, la mensa divina, l’ascesa al cielo del Cristo e di Mitra, la dexiosis (la stretta di mano). I cristiani in molte occasioni accusarono i mitraici di scimmiottare le loro cerimonie, senza pensare che, in realtà, il mitraismo era molto più antico della religione cristiana. Al contrario furono le comunità cristiane ad appropriarsi di alcuni elementi del culto ebraico. Uno fra tutti il 25 dicembre che da antica festa del sole divenne il giorno canonico della nascita di Gesù, il nuovo sole (ma solo dal III secolo). Oggi passeggiando tra le strade e le rovine di Ostia quasi nulla si percepisce dell’astio tra le due comunità e della violenza. Quel rimane è solo la bellezza e il fascino di un passato remoto che mai cesserà di incantare e stupire.
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