𝐒𝐔𝐋𝐏𝐈𝐂𝐈𝐎, 𝐈𝐋 𝐁𝐀𝐌𝐁𝐈𝐍𝐎 𝐏𝐑𝐎𝐃𝐈𝐆𝐈𝐎
di 𝙄𝙧𝙚𝙣𝙚 𝙎𝙖𝙡𝙫𝙖𝙩𝙤𝙧𝙞 Chiunque passeggi nelle vicinanze di piazza Fiume, a Roma, si imbatte in un monumento funebre, addossato alle Mura Aureliane, che dà mostra di sè con pacata discrezione. Il sepolcro appartiene a un fanciullo di 2000 anni fa, Quinto Sulpicio Massimo, e oggi si trova all’incrocio tra via Piave e la via che porta il nome del ragazzino della tomba, appunto via Sulpicio Massimo. Il rinvenimento fu fortuito: nel corso del cannoneggiamento delle mura del 1870, Porta Salaria fu rovinosamente danneggiata a tal punto che, nel 1871, si venne alla decisione di abbattere la porta rinvenendo, inglobato nelle fondamenta della torre ad est della stessa, il monumento funebre di 𝗤𝘂𝗶𝗻𝘁𝗼 𝗦𝘂𝗹𝗽𝗶𝗰𝗶𝗼 𝗠𝗮𝘀𝘀𝗶𝗺𝗼. Quello che oggi ammiriamo è solo una copia, l’originale è stato portato anni fa alla Centrale Montemartini. Accanto al monumento, si rinvenne anche un altro sepolcro a camera di epoca sillana, il cui proprietario è rimasto ignoto. Ma chi era Sulpicio? Un bambino prodigio scomparso prematuramente. Lo sappiamo, ci sono dolori che trascendono il tempo e lo spazio. I genitori di Quinto Sulpicio Massimo, addolorati ma orgogliosi, vollero rendere omaggio al figlio, morto a 11 anni, ma già famoso per aver partecipato, appena decenne, al terzo 𝑐𝑒𝑟𝑡𝑎𝑚𝑒𝑛 capitolino (una gara di poesia di alto profilo). Lui, un bambino, in mezzo ad altri 52 poeti (e tra questi anche il noto poeta Stazio), nel 94 d.C. si esibì nello Stadio di Domiziano, davanti a migliaia di persone. Il suo componimento non vinse, ma ottenne una corona, una sorta di premio della critica, come apprezzamento da parte dei giudici, stupiti nel vedere tanta competenza in un ragazzo così giovane. La folla, al pari dei giudici, acclamò questo giovane talentuoso agitando palme e intonando cori. Il monumento funebre di Sulpicio è interamente ricoperto dal testo in greco, come era previsto dalla gara, e in latino, del componimento presentato al 𝑐𝑒𝑟𝑡𝑎𝑚𝑒𝑛 . In questo tipo di gare, a ogni concorrente veniva affidato un soggetto poetico estratto a sorte sul quale, là su due piedi, l’aspirante “novello Virgilio” doveva improvvisare un componimento. Al giovane Sulpicio, leggiamo sul monumento, venne assegnato il mito di Fetonte. In pratica la ramanzina di Giove ad Apollo, accusato di essere stato troppo indulgente con il figlio Fetonte. Dopo la gloria, l’abisso. La fine del ragazzino fu tragica e inaspettata. Alla fine dell’estate del 94 d.C. il fanciullo, per il troppo studio si ammalò e morì, lasciando ai genitori la dolorosa consapevolezza della sua perdita. "𝐴𝑔𝑙𝑖 𝐷𝑒𝑖 𝑀𝑎𝑛𝑖. 𝑃𝑒𝑟 𝑄𝑢𝑖𝑛𝑡𝑜 𝑆𝑢𝑙𝑝𝑖𝑐𝑖𝑜 𝑀𝑎𝑠𝑠𝑖𝑚𝑜, 𝑓𝑖𝑔𝑙𝑖𝑜 𝑑𝑖 𝑄𝑢𝑖𝑛𝑡𝑜, 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑡𝑟𝑖𝑏𝑢̀ 𝐶𝑙𝑎𝑢𝑑𝑖𝑎, 𝑛𝑎𝑡𝑜 𝑖𝑛 𝑅𝑜𝑚𝑎 𝑒 𝑣𝑖𝑠𝑠𝑢𝑡𝑜 11 𝑎𝑛𝑛𝑖 5 𝑚𝑒𝑠𝑖 𝑒 12 𝑔𝑖𝑜𝑟𝑛𝑖. 𝐸𝑔𝑙𝑖, 𝑎𝑙𝑙𝑎 𝑡𝑒𝑟𝑧𝑎 𝑐𝑒𝑙𝑒𝑏𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑞𝑢𝑖𝑛𝑞𝑢𝑒𝑛𝑛𝑎𝑙𝑒 𝑑𝑒𝑖 𝑔𝑖𝑜𝑐ℎ𝑖 𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑜𝑙𝑖𝑛𝑖, 𝑡𝑟𝑎 52 𝑝𝑜𝑒𝑡𝑖 𝑑𝑖 𝐺𝑟𝑒𝑐𝑜 𝑟𝑖𝑠𝑐𝑜𝑠𝑠𝑒 𝑎𝑝𝑒𝑟𝑡𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑖 𝑓𝑎𝑣𝑜𝑟𝑖 𝑐ℎ𝑒 𝑓𝑢𝑟𝑜𝑛𝑜 𝑟𝑖𝑠𝑣𝑒𝑔𝑙𝑖𝑎𝑡𝑖 𝑑𝑎𝑙𝑙𝑎 𝑠𝑢𝑎 𝑔𝑖𝑜𝑣𝑎𝑛𝑒 𝑒𝑡𝑎̀, 𝑖𝑙 𝑠𝑢𝑜 𝑖𝑛𝑔𝑒𝑔𝑛𝑜 𝑠𝑢𝑠𝑐𝑖𝑡𝑜̀ 𝑎𝑚𝑚𝑖𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑒 𝑑𝑖𝑝𝑎𝑟𝑡𝑖̀ 𝑐𝑜𝑛 𝑜𝑛𝑜𝑟𝑒. 𝐼 𝑠𝑢𝑜𝑖 𝑣𝑒𝑟𝑠𝑖 𝑖𝑚𝑝𝑟𝑜𝑣𝑣𝑖𝑠𝑎𝑡𝑖 𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑖𝑛𝑐𝑖𝑠𝑖 𝑠𝑢 𝑞𝑢𝑒𝑠𝑡𝑎 𝑡𝑜𝑚𝑏𝑎, 𝑎 𝑝𝑟𝑜𝑣𝑎𝑟𝑒 𝑐ℎ𝑒 𝑖 𝑔𝑒𝑛𝑖𝑡𝑜𝑟𝑖 𝑛𝑒𝑙 𝑙𝑜𝑑𝑎𝑟𝑒 𝑖𝑙 𝑠𝑢𝑜 𝑡𝑎𝑙𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑛𝑜𝑛 𝑒𝑟𝑎𝑛𝑜 𝑖𝑠𝑝𝑖𝑟𝑎𝑡𝑖 𝑢𝑛𝑖𝑐𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑑𝑎𝑙 𝑙𝑜𝑟𝑜 𝑝𝑟𝑜𝑓𝑜𝑛𝑑𝑜 𝑎𝑓𝑓𝑒𝑡𝑡𝑜 𝑝𝑒𝑟 𝑙𝑢𝑖. 𝑄𝑢𝑖𝑛𝑡𝑜 𝑆𝑢𝑙𝑝𝑖𝑐𝑖𝑜 𝐸𝑢𝑔𝑟𝑎𝑚𝑜 𝑒 𝐿𝑖𝑐𝑖𝑛𝑖𝑎 𝐼𝑎𝑛𝑢𝑎𝑟𝑖𝑎, 𝑖𝑛𝑓𝑒𝑙𝑖𝑐𝑖𝑠𝑠𝑖𝑚𝑖 𝑔𝑒𝑛𝑖𝑡𝑜𝑟𝑖, 𝑟𝑒𝑎𝑙𝑖𝑧𝑧𝑎𝑟𝑜𝑛𝑜 𝑝𝑒𝑟 𝑖𝑙 𝑡𝑒𝑛𝑒𝑟𝑖𝑠𝑠𝑖𝑚𝑜 𝑓𝑖𝑔𝑙𝑖𝑜 𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑙𝑜𝑟𝑜 𝑠𝑡𝑒𝑠𝑠𝑖 𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑖 𝑙𝑜𝑟𝑜 𝑝𝑜𝑠𝑡𝑒𝑟𝑖”.
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IRENE SALVATORI |
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